21 febbraio 2022

Il Codice della Protezione Civile: cosa cambia

Dal 2 gennaio 2018, il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della Protezione Civile (Decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018), con il quale è riformata tutta la normativa in materia.

Il Codice nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura. Per rispondere a questo obiettivo di semplificazione, ogni articolo esplicita chiaramente le norme che sostituisce e, nei due articoli conclusivi (artt. 47 e 48), offre anche un coordinamento dei riferimenti normativi e l’elenco completo di tutte le norme che attraverso il Codice sono abrogate.

La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico. Anche per questo il Codice è stato scritto in modo diverso rispetto ad altre norme ed è stato elaborato da un gruppo di redazione composto da rappresentanti di Dipartimento della Protezione Civile, Regioni, Comuni, Ministeri, Volontariato di protezione civile.

La prima proposta di riordino della normativa in materia di protezione civile è dunque frutto del lavoro di un gruppo misto e tale scelta ha influito sulla impostazione collettiva del Codice, nato da un confronto aperto su criticità e punti di forza della pregressa normativa in materia.

Ma perché l’esigenza di un riordino della protezione civile? Dalla prima legge del Ministro dei Lavori Pubblici che nel 1926 regolamenta il tema del coordinamento “di protezione civile”, fino ad arrivare alla legge 225/1992, istitutiva del Servizio Nazionale, norme e modifiche seguono l’andamento storico e le emergenze del Paese. La volontà di riformare la normativa di protezione civile arriva quando la legge 225/1992 ha 25 anni e ed è già stata modificata in modo anche intensivo. Ulteriori variazioni e integrazioni di protezione civile, stratificate nel tempo, passano anche attraverso altri corpi normativi e tutti questi fattori rendono la lettura dell’ordinamento in materia molto difficile. Il nuovo Codice, che punta alla semplificazione, lo fa attraverso la consapevolezza che il mondo di oggi è complesso e che quindi anche la normativa in materia di protezione civile deve tenere conto di tale complessità, governandola. Disciplinando infatti attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, ma anche di gestione delle emergenze e loro superamento, il Codice ha l’obiettivo di garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

Di seguito, per punti, i principali elementi di novità introdotti dal Codice.

In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio anche dinamico degli scenari di rischio possibili. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata. La prevenzione non strutturale è composta da una serie di attività in cui spiccano l’allertamento e la diffusione della conoscenza di protezione civile su scenari di rischio e norme di comportamento e la pianificazione di protezione civile. La prevenzione strutturale è reintrodotta come “prevenzione strutturale di protezione civile”, a sottolineare l’esistenza di temi di protezione civile specifici quando si parla di prevenzione strutturale. Un ruolo specifico, in cui il Dipartimento della Protezione Civile è integrato nei tavoli di lavoro dove le linee di prevenzione strutturale sono definite. Sono inoltre disciplinati gli interventi strutturali di mitigazione del rischio in ambito emergenziale. Si precisa infine la necessità di azioni integrate di prevenzione strutturale e non strutturale.

Prima del Codice, l’intervento nazionale, compresa l’attivazione di strumenti straordinari, era subordinata alla dichiarazione dello stato di emergenza. L’attivazione preventiva era rimessa all’autonoma valutazione degli Enti competenti.

Lo stato di mobilitazione, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, supera questo limite e consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e di chiedere anche il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza. Se l’evento si tramuta in calamità, si mette in moto la macchina emergenziale. In caso contrario, con un atto unilaterale del Capo Dipartimento si possono riconoscere i costi sostenuti da parte di chi si è preventivamente attivato.

Il Codice ridefinisce la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale, portandola a un massimo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 12 mesi.

Il Codice ribadisce il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.

Il Codice esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio Nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.

Il Codice chiarisce i criteri di operatività nel Sistema di protezione civile, che vede ammissibili soltanto quei prodotti reputati maturi secondo le regole del mondo scientifico. La Comunità scientifica partecipa al Servizio Nazionale sia attraverso attività integrate, sia attraverso attività sperimentali propedeutiche.

Il Codice codifica la funzione dei Centri di Competenza, la cui specificità è realizzare prodotti che possano essere utilizzati in ambito di protezione civile. I Centri di Competenza, da strumenti del Dipartimento diventano con il Codice strumenti dell’intero Sistema.

Il Codice introduce il principio della partecipazione dei cittadini finalizzata alla maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità. Tale partecipazione può realizzarsi in vari ambiti, dalla formazione professionale, alla pianificazione di protezione civile e attraverso l’adesione al volontariato di settore.