{"componentChunkName":"component---src-templates-approfondimento-template-it-jsx","path":"/it/approfondimento/pianificazione-di-protezione-civile/","result":{"data":{"node":{"drupal_internal__nid":72221,"field_categoria_primaria":"approfondimento","title":"Pianificazione di protezione civile","field_titolo_esteso":"Pianificazione di protezione civile","field_id_contenuto_originale":72222,"field_data":"2016-07-26T13:17:56+02:00","field_tipo_approfondimento":"2","path":{"alias":"/approfondimento/pianificazione-di-protezione-civile"},"field_link_esterni":[],"field_abstract":null,"body":{"processed":"

Un piano di protezione civile è l’insieme delle procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio.

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Il piano di protezione civile recepisce il programma di previsione e prevenzione, ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio. Ha l’obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita” civile” messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici.

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Struttura del piano. Il piano si articola in tre parti fondamentali:

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1. Parte generale: raccoglie tutte le informazioni sulle caratteristiche e sulla struttura del territorio;
\n2. Lineamenti della pianificazione: stabiliscono gli obiettivi da conseguire per dare un’adeguata risposta di protezione civile ad una qualsiasi situazione d’emergenza, e le competenze dei vari operatori;
\n3. Modello d’intervento: assegna le responsabilità decisionali ai vari livelli di comando e controllo, utilizza le risorse in maniera razionale, definisce un sistema di comunicazione che consente uno scambio costante di informazioni.

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Obiettivi del piano. Un piano di protezione civile è un documento che:

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È un documento in continuo aggiornamento, che deve tener conto dell’evoluzione dell’assetto territoriale e delle variazioni negli scenari attesi. Anche le esercitazioni contribuiscono all’aggiornamento del piano perché ne convalidano i contenuti e valutano le capacità operative e gestionali del personale. La formazione aiuta, infatti, il personale che sarà impiegato in emergenza a familiarizzare con le responsabilità e le mansioni che deve svolgere in emergenza.

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Un piano deve essere sufficientemente flessibile per essere utilizzato in tutte le emergenze, incluse quelle impreviste, e semplice in modo da divenire rapidamente operativo.

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In questa sezione pubblichiamo, per ogni Regione, l'elenco e la percentuale dei comuni dotati di piano, senza alcun riferimento alla data di aggiornamento o a altri parametri qualitativi.

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Tutte le Regioni italiane hanno comunicato il numero e l’elenco dei Comuni che si sono dotati di un piano di protezione civile.

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In totale, dunque, dei 8.051 Comuni delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Province Autonome di Bolzano e di Trento, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto, Valle d’Aosta, l'88% - pari a 7.123 Comuni - dispone di un piano di protezione civile.

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Ultimo aggiornamento: 21 luglio 2022

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Ultimo aggiornamento: 21 luglio 2022

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

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VISTI gli articoli 116 e 117 della Costituzione;

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VISTA la legge 31 dicembre 1982, n. 979, recante “Disposizioni per la difesa del mare”, in particolare, gli articoli 10 e 11;

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VISTO il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, recante “Attuazione delle direttive Euratom 89/618, 90/641, 96/29 in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71 in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70 in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili”;

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VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” e, in particolare, gli articoli 17, 30, 31, 32 e 33;

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VISTA la legge 21 novembre 2000, n. 353 recante “Legge-quadro in materia di incendi boschivi”;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2002, recante “Trasferimento alle regioni degli uffici periferici del Dipartimento dei servizi tecnici nazionali – Servizio idrografico e mareografico” e, in particolare, l’articolo 9 relativo alla trasmissione dei dati delle Regioni al Dipartimento della protezione civile, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’11 ottobre 2002, n. 239;

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VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della Protezione Civile 21 ottobre 2003 recante “Disposizioni attuative dell’art. 2, commi 2, 3 e 4, dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recante primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29 ottobre 2003, n. 252;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2004 e successive modifiche, concernente gli “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’11 marzo 2004, n. 59;

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VISTO il decreto del Ministro dell’Interno 27 gennaio 2005, relativo all’“Istituzione di un Centro di coordinamento nazionale per fronteggiare le situazioni di crisi in materia di viabilità”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 2 febbraio 2005, n. 26;

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VISTA la legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa”;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2005, recante “Linee Guida per la predisposizione del piano d'emergenza esterna” di cui all'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 6 marzo 2005, n. 62;

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VISTO il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante “Codice dell’Amministrazione digitale”;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 febbraio 2006 recante “Linee guida per la pianificazione di emergenza nelle aree portuali interessate dalla presenza di naviglio a propulsione nucleare”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 febbraio 2006, n. 44;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 febbraio 2006 recante “Linee guida per la pianificazione di emergenza per il trasporto di materie radioattive e fissili”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 febbraio 2006, n. 44;

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VISTO il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, recante “Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229” e, in particolare, gli articoli 1 e 24;

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VISTO il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia ambientale”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 6 aprile 2006, recante “Coordinamento delle iniziative e delle misure finalizzate a disciplinare gli interventi di soccorso e di assistenza alla popolazione in occasione di incidenti stradali, ferroviari, aerei ed in mare, di esplosioni e crolli di strutture e di incidenti con presenza di sostanze pericolose”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 13 aprile 2006, n. 87;

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VISTA la direttiva del Capo del Dipartimento della protezione civile 2 maggio 2006, recante “Indicazioni per il coordinamento operativo di emergenze dovute a incidenti stradali, ferroviari, aerei e in mare, ad esplosioni e crolli di strutture e ad incidenti con presenza di sostanze pericolose”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 3 maggio 2006, n. 101;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 2007, recante “Linee guida per l'informazione alla popolazione sul rischio industriale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 5 marzo 2007, n. 53;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008, relativo alla “Organizzazione e funzionamento di Sistema presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 febbraio 2009, n. 41;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2008, recante “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 13 febbraio 2009, n. 36;

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VISTO il decreto legislativo del 27 gennaio 2010, n. 32 “Attuazione della direttiva 2007/2/CE, che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale della Comunità europea (INSPIRE)”;

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VISTO il decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49 “Attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni” e, in particolare, l’articolo 7;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 marzo 2010, recante “Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 24 maggio 2010, n. 119;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 novembre 2010, recante “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 novembre 2010, n. 271;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 1 luglio 2011, in materia di “Lotta attiva agli incendi boschivi”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 settembre 2011, n. 208;

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VISTO il decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante “Adozione del sistema di riferimento geodetico nazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 27 febbraio 2012, n. 48;

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VISTO il decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante “Regole tecniche per la definizione del contenuto del Repertorio nazionale dei dati territoriali, nonché delle modalità di prima costituzione e di aggiornamento dello stesso”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 27 febbraio 2012, n. 48;

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VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile 12 gennaio 2012 in tema di tutela della salute e della sicurezza dei volontari di protezione civile, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 6 aprile 2012, n. 82;

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VISTA l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29 febbraio 2012, n. 4007, recante “Attuazione dell’art. 11 del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77”, in merito ai contributi per gli interventi di prevenzione del rischio sismico per l’anno 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 marzo 2012, n. 56;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 9 novembre 2012, inerente agli “Indirizzi operativi volti ad assicurare l'unitaria partecipazione delle organizzazioni di volontariato all'attività di protezione civile” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 1 febbraio 2013, n. 27;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2014, relativa al “Programma nazionale di soccorso per il rischio sismico” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2014, n. 79;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2014, recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico del Vesuvio”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 12 maggio 2014, n. 108;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2014, recante l’“Istituzione del Nucleo Tecnico Nazionale (NTN) per il rilievo del danno e la valutazione di agibilità nell'emergenza post-sismica e approvazione dell'aggiornamento del modello per il rilevamento dei danni, pronto intervento e agibilità per edifici ordinari nell'emergenza post-sismica e del relativo manuale di compilazione”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 ottobre 2014, n. 243;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2014, recante gli “Indirizzi operativi inerenti l’attività di protezione civile nell’ambito dei bacini in cui siano presenti grandi dighe”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 4 novembre 2014, n. 256;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 24 febbraio 2015, inerente agli Indirizzi operativi inerenti la predisposizione della parte dei piani di gestione relativa al sistema di allertamento nazionale, statale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile di cui al decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49 di recepimento della Direttiva 2007/60/CE”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 31 marzo 2015, n. 75;

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VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile del 2 febbraio 2015, recante “Indicazioni alle Componenti ed alle Strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile inerenti l’aggiornamento delle pianificazioni di emergenza ai fini dell’evacuazione cautelativa della popolazione della Zona rossa vesuviana”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 31 marzo 2015, n. 75;

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VISTE le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, inerenti a “La determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di Coordinamento e delle Aree di Emergenza” del 31 marzo 2015;

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VISTA la direttiva del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 23 aprile 2015, relativa alle “Procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale in caso di emergenze derivanti da calamità naturalipubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 23 luglio 2015, n. 169;

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VISTO il decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105, recante “Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 novembre 2015 recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico del Vesuvio per le aree soggette a ricaduta di materiale piroclastico - Zona gialla”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 gennaio 2016, n. 13;

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VISTE le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, recanti “Metodi e criteri per l’omogeneizzazione dei messaggi del Sistema di allertamento nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico e della risposta del sistema di protezione civile” del 10 febbraio 2016;

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VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016, recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico dei Campi Flegrei”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 agosto 2016, n. 193;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016, recante “Individuazione della Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario per il coordinamento dei soccorsi sanitari urgenti nonché dei Referenti Sanitari Regionali in caso di emergenza nazionale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20 agosto 2016, n. 194;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2017, recante “Istituzione del Sistema d’Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma - SIAM” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 5 giugno 2017, n. 128;

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VISTO il decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, recante “Codice della protezione civile” e, in particolare, gli articoli 3, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 15, 17, 18, 23, 24, 25, 38, 39 e 40;

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VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile 2 ottobre 2018, recante “Indicazioni alle Componenti ed alle Strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile per l’aggiornamento delle pianificazioni di protezione civile per il rischio maremoto” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 novembre 2018, n. 266;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 7 gennaio 2019, recante “Impiego dei medici delle Aziende sanitarie locali nei Centri operativi comunali ed intercomunali, degli infermieri ASL per l’assistenza alla popolazione e la scheda SVEI per la valutazione delle esigenze immediate della popolazione assistita” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20 marzo 2019, n. 67;

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VISTO il decreto legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito nella legge 14 giugno 2019, n. 55, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” ed, in particolare, l’articolo 28 recante modifiche al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, “Codice delle comunicazioni elettroniche”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 12 agosto 2019, recante “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale e per la pianificazione di protezione civile territoriale nell’ambito del rischio valanghe”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 2 ottobre 2019, n. 231;

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VISTO il decreto legislativo 6 febbraio 2020, n. 4, recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 2 gennaio 2018, recante “Codice della Protezione Civile”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 24 febbraio 2020, inerente ai “Rimborsi spettanti ai datori di lavoro pubblici e privati dei volontari, ai volontari lavoratori autonomi/liberi professionisti e alle organizzazioni di volontariato per le attività di protezione civile autorizzate” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 maggio 2020, n.127;

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VISTO il decreto del Segretario Generale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, n. 121 del 26 marzo 2020, recante \"Disciplina la riorganizzazione della Unità di Crisi coordinamento Nazionale\";

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2020, recante “Allertamento di protezione civile e sistema di allarme pubblico IT-Alert”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 12 febbraio 2021, n. 36;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 18, comma 4, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, le modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività di pianificazione di protezione civile e del relativo monitoraggio, aggiornamento e valutazione sono disciplinate con direttiva da adottarsi ai sensi dell’articolo 15 del medesimo decreto, al fine di garantire un quadro coordinato in tutto il territorio nazionale e l’integrazione tra i sistemi di protezione civile dei diversi territori, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, l’articolazione di base dell’esercizio della funzione di protezione civile a livello territoriale è organizzata nell’ambito della pianificazione di cui all’articolo 18 del medesimo decreto che, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, definisce gli ambiti territoriali e organizzativi ottimali individuati dalle Regioni, sulla base dei criteri generali fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 4;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, il Presidente del Consiglio di ministri, con direttiva di cui all’articolo 15 del medesimo decreto, predispone gli indirizzi per lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di protezione civile di cui all’articolo 2 del decreto, al fine di assicurarne l’unitarietà nel rispetto delle peculiarità dei territori;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettere c) e d) del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, il Presidente del Consiglio dei ministri si avvale del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri per l’elaborazione delle proposte delle direttive di cui all’articolo 15, nonché per l’elaborazione ed il coordinamento dell’attuazione dei piani nazionali riferiti a specifici scenari di rischio di rilevanza nazionale e dei programmi nazionali di soccorso contenenti il modello di intervento per l’organizzazione della risposta operativa in caso o in vista di eventi calamitosi di rilievo nazionale;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, con la direttiva di cui al successivo articolo 18, comma 4, sono individuati i contenuti tecnici minimi per l’efficace assolvimento, da parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle attribuzioni di cui al medesimo articolo 10;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, le Regioni, sulla base dei criteri generali fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 4, del medesimo decreto favoriscono l’individuazione del livello ottimale di organizzazione di protezione civile a livello territoriale al fine di garantire l’effettività delle funzioni di protezione civile, nonché l’organizzazione di modalità di supporto per gli interventi da porre in essere in occasione di emergenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a), ivi inclusa l’organizzazione dei presidi territoriali;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, i Comuni, anche in forma associata, nonché ai sensi dell’articolo 1, della legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano l’attuazione delle attività di protezione civile nei rispettivi territori, secondo quanto stabilito nella pianificazione di cui all’articolo 18, nel rispetto delle disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo, delle leggi regionali in materia di protezione civile e del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, su proposta del Capo del Dipartimento della protezione civile, possono essere adottate direttive del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di assicurare, sul piano tecnico, l’indirizzo unitario, nel rispetto delle peculiarità dei territori, per l’esercizio della funzione e lo svolgimento delle attività di protezione civile, nell’ambito dei limiti e delle finalità delle quali, il Capo del Dipartimento della protezione civile, può adottare indicazioni operative volte all’attuazione di specifiche disposizioni in esse contenute da parte del Servizio nazionale della protezione civile, consultando preventivamente le componenti e le strutture operative nazionali interessate;

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RAVVISATA la necessità di ottimizzare la capacità di pianificazione di protezione civile per favorire un’adeguata risposta alle emergenze locali dovute ad eventi calamitosi e di omogeneizzare il metodo di pianificazione ai diversi livelli territoriali;

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SU PROPOSTA del Capo del Dipartimento della protezione civile;

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ACQUISITA l’intesa della Conferenza unificata in data 25 marzo 2021;

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EMANA

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la seguente direttiva recanteIndirizzi per la predisposizione dei piani di protezione civile ai diversi livelli territoriali.

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1. Finalità e principi generali

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La presente direttiva è emanata in attuazione dell’articolo 18 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, recante “Codice della protezione civile” (di seguito “Codice”). In particolare, il comma 4 del suddetto articolo stabilisce che “le modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività di pianificazione di protezione civile e del relativo monitoraggio, aggiornamento e valutazione” sono disciplinate con direttiva da adottarsi ai sensi dell’articolo 15 del Codice al fine di ”garantire un quadro coordinato in tutto il territorio nazionale e l'integrazione tra i sistemi di protezione civile dei diversi territori, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano”.

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La pianificazione di protezione civile è un’attività di sistema che deve essere svolta congiuntamente da tutte le amministrazioni ai diversi livelli territoriali per la preparazione e la gestione delle attività di cui all’articolo 2 del Codice, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

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La finalità del presente provvedimento è quella di omogeneizzare il metodo di pianificazione di protezione civile ai diversi livelli territoriali per la gestione delle attività connesse ad eventi calamitosi di diversa natura e gravità, secondo quanto indicato nell’allegato tecnico che ne costituisce parte integrante e sostanziale.

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Come previsto dal Codice, i livelli di pianificazione sono:

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1.1 Livello nazionale

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A livello nazionale, in caso di eventi che si manifestino con particolare gravità, tali da richiedere l’intervento di risorse regionali e nazionali, in accordo con il principio di sussidiarietà, si applicano le disposizioni contenute nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008 inerente agli “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”. Il Dipartimento della protezione civile provvede all’elaborazione ed al coordinamento dell’attuazione dei piani nazionali riferiti a specifici scenari di rischio di rilevanza nazionale e dei programmi nazionali di soccorso, contenenti la struttura organizzativa nazionale e gli elementi conoscitivi del territorio per l’organizzazione della risposta operativa in caso o in vista di eventi calamitosi di rilievo nazionale. I Programmi nazionali di soccorso di cui all’articolo 8 del Codice, integrati dagli allegati di competenza regionale, approvati d’intesa con il Dipartimento, sono da considerarsi quali piani nazionali di protezione civile. Le Regioni concorrono alle attività di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite anche con la Colonna mobile nazionale delle Regioni, che viene coordinata nell’ambito del Comitato operativo della protezione civile o dal Dipartimento della protezione civile attraverso il supporto della Commissione speciale Protezione civile della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

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Per quanto attiene alla pianificazione nazionale, ci si riferisce a determinati scenari di rischio, rientranti tra quelli indicati all’articolo 16 del Codice, il cui verificarsi può dar luogo ad una tipologia di evento emergenziale di cui alla lettera c), comma 1, dell’articolo 7 del Codice e, quindi, determinare la necessità di mobilitare e coordinare l’intervento dell’intero Servizio nazionale della protezione civile. Il piano nazionale, oltre a descrivere il territorio potenzialmente interessato, individua, altresì, le necessarie misure da attuare nonché le corrispondenti procedure operative finalizzate a garantire gli interventi di salvaguardia della popolazione.

\n

La presente direttiva non disciplina la struttura dei piani di protezione civile nazionali, per i quali si rinvia a quanto previsto dalle disposizioni normative e dalle indicazioni operative emanate per i rischi specifici e per gli scenari di rischio nazionali.

\n

1.2 Livello regionale

\n

A livello regionale, le Regioni provvedono all’adozione ed all’attuazione del piano regionale di protezione civile, che prevede criteri e modalità di intervento da seguire in caso di emergenza secondo quanto stabilito dalla lettera a), comma 1, dell’articolo 11 del Codice. In particolare, il piano definisce le modalità di coordinamento del concorso delle diverse strutture regionali alle attività di protezione civile.

\n

1.3 Livello provinciale/Città metropolitana/area vasta

\n

A livello provinciale, le Regioni provvedono alla predisposizione dei piani provinciali di protezione civile, ove non diversamente disciplinato nelle leggi regionali, in raccordo con le Prefetture - Uffici territoriali del Governo sulla base degli indirizzi regionali di cui alla lettera b), comma 1, dell’articolo 11 del Codice.

\n

Il piano provinciale/Città metropolitana/area vasta deve essere elaborato riportando essenzialmente lo scenario di riferimento, le modalità per la diffusione eventuale delle allerte, gli aspetti connessi all’organizzazione del sistema di coordinamento di livello provinciale in emergenza, le modalità che garantiscano il flusso delle comunicazioni e le procedure operative di attivazione e raccordo tra gli enti coinvolti.

\n

Ai fini di economicità e semplificazione dell’iter di pianificazione, nel caso in cui il soggetto definito per la pianificazione provinciale e di ambito sia il medesimo, il piano provinciale include le pianificazioni di tutti gli ambiti di competenza.

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1.4 Livello d’ambito

\n

Il Codice prevede, agli articoli 3, 11 e 18, la necessità di definire a cura delle Regioni gli “ambiti territoriali e organizzativi ottimali” (di seguito “ambiti”) che devono essere “costituiti da uno o più comuni” per assicurare lo svolgimento delle attività di protezione civile.

\n

A livello provinciale, gli ambiti rappresentano, pertanto, il livello territoriale in cui si esplicita l’articolazione di base dell’esercizio della funzione di protezione civile. Il piano di protezione civile d’ambito deve essere redatto dalla Regione, ove non diversamente previsto nelle leggi regionali, ai sensi della lettera o), comma 1, dell’articolo 11 del Codice.

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Lo scopo del piano di ambito è quello di garantire l’ottimizzazione delle risorse disponibili, supportando i Comuni nella gestione delle risorse in emergenza, nonché di garantire il necessario raccordo informativo tra il livello comunale e quello provinciale/regionale. La pianificazione di protezione civile di ambito non è, quindi, sostitutiva di quella comunale, ma è parte integrante della pianificazione di livello provinciale o con essa coordinata in base a quanto stabilito dalle norme regionali.

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1.5 Livello comunale

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A livello comunale, si provvede alla predisposizione dei piani comunali di protezione civile sulla base degli indirizzi regionali di cui alla lettera b), comma 1, dell’articolo 11 del Codice, ferme restando le disposizioni specifiche riferite a Roma capitale di cui al comma 7, articolo 12, del medesimo Codice.

\n

I contenuti della pianificazione di protezione civile comunale indicati nella presente direttiva devono essere commisurati all’effettiva capacità di pianificazione da parte dei Comuni di piccole dimensioni.

\n

Alla definizione dei piani di protezione civile comunale, al loro aggiornamento ed alla relativa attuazione devono concorrere tutte le aree/settori dell’amministrazione (ad esempio: urbanistica, settori tecnici, viabilità) sotto il coordinamento del Servizio di protezione civile comunale ove esistente.

\n

1.6 Attuazione dell’articolo 10, comma 4, del Codice

\n

Il presente provvedimento ha, inoltre, la finalità di definire, in attuazione dell’articolo 10, comma 4, del Codice, gli elementi fondamentali della pianificazione di protezione civile ai diversi livelli territoriali, da intendersi come i contenuti tecnici minimi per l’intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ai fini dell’assolvimento dei compiti loro affidati. Gli elementi di pianificazione forniti dalla presente direttiva costituiscono il riferimento per consentire che l’intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia uniforme sul territorio nazionale, sulla base delle indicazioni che verranno fornite dal Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile alle articolazioni territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

\n

L’allegato alla presente direttiva disciplina, pertanto, l’individuazione di elementi strategici minimi ed indispensabili per i contenuti dei piani di protezione civile ai diversi livelli territoriali, tra cui:

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1.7 Partecipazione del volontariato organizzato alla pianificazione di protezione civile

\n

In attuazione dell’articolo 38, comma 3, del Codice, il volontariato organizzato di protezione civile prende parte alle attività di redazione ed aggiornamento della pianificazione partecipando secondo le forme e le modalità che saranno concordate con l’Autorità competente. Per tale attività può essere prevista l’applicazione dei benefici di cui agli articoli 39 e 40 del Codice.

\n

2. Disposizioni finali

\n

Per le Province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze loro affidate dai relativi statuti e dalle relative norme di attuazione, ai sensi dei quali provvedono alle finalità della presente direttiva.

\n

Il Dipartimento della protezione civile provvede a:

\n
  1. emanare le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Codice, condivise con le Regioni, inerenti all’organizzazione informativa dei dati territoriali, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana;
  2. \n
  3. emanare la mosaicatura nazionale degli ambiti territoriali e organizzativi ottimali, così come individuati dai provvedimenti normativi regionali, con indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, entro sei mesi dall’individuazione formale degli ambiti da parte di tutte le Regioni.
  4. \n

Le Regioni provvedono a:

\n
  1. definire, quale elemento preliminare del piano regionale di protezione civile, in condivisione con le Prefetture - Uffici Territoriali del Governo, le Province, le Città metropolitane e i Comuni, i confini geografici, con il supporto del Dipartimento della protezione civile, ed i criteri organizzativi degli ambiti territoriali ottimali entro dodici mesi dalla data di pubblicazione del presente provvedimento nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana;
  2. \n
  3. emanare o aggiornare gli indirizzi regionali per la pianificazione provinciale/Città metropolitana, di ambito e comunale di protezione civile per i diversi tipi di rischio, entro dodici mesi dalla data di pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, dandone comunicazione al Dipartimento della protezione civile;
  4. \n
  5. emanare o aggiornare il piano regionale di protezione civile entro dodici mesi dalla data di pubblicazione delle indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile inerenti all’organizzazione informativa dei dati territoriali.
  6. \n

I Comuni provvedono ad aggiornare i piani comunali di protezione civile in ottemperanza alla presente direttiva ed agli indirizzi regionali, entro dodici mesi dall’emanazione di questi ultimi.

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Nell’ipotesi di mancata attuazione da parte delle Regioni di quanto previsto alla lettera b), entro diciotto mesi dalla pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, i Comuni possono procedere alla pianificazione di protezione civile secondo gli indirizzi regionali vigenti, nonché gli indirizzi di cui alla presente direttiva, laddove compatibili.

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All’attuazione del presente provvedimento si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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La presente direttiva sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

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Roma, 30 aprile 2021                                                

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

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VISTI gli articoli 116 e 117 della Costituzione;

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VISTA la legge 31 dicembre 1982, n. 979, recante “Disposizioni per la difesa del mare”, in particolare, gli articoli 10 e 11;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, recante “Attuazione delle direttive Euratom 89/618, 90/641, 96/29 in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71 in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70 in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” e, in particolare, gli articoli 17, 30, 31, 32 e 33;

\r\n\r\n

VISTA la legge 21 novembre 2000, n. 353 recante “Legge-quadro in materia di incendi boschivi”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2002, recante “Trasferimento alle regioni degli uffici periferici del Dipartimento dei servizi tecnici nazionali – Servizio idrografico e mareografico” e, in particolare, l’articolo 9 relativo alla trasmissione dei dati delle Regioni al Dipartimento della protezione civile, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’11 ottobre 2002, n. 239;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della Protezione Civile 21 ottobre 2003 recante “Disposizioni attuative dell’art. 2, commi 2, 3 e 4, dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recante primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29 ottobre 2003, n. 252;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2004 e successive modifiche, concernente gli “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’11 marzo 2004, n. 59;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Ministro dell’Interno 27 gennaio 2005, relativo all’“Istituzione di un Centro di coordinamento nazionale per fronteggiare le situazioni di crisi in materia di viabilità”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 2 febbraio 2005, n. 26;

\r\n\r\n

VISTA la legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2005, recante “Linee Guida per la predisposizione del piano d'emergenza esterna” di cui all'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 6 marzo 2005, n. 62;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante “Codice dell’Amministrazione digitale”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 febbraio 2006 recante “Linee guida per la pianificazione di emergenza nelle aree portuali interessate dalla presenza di naviglio a propulsione nucleare”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 febbraio 2006, n. 44;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 febbraio 2006 recante “Linee guida per la pianificazione di emergenza per il trasporto di materie radioattive e fissili”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22 febbraio 2006, n. 44;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, recante “Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229” e, in particolare, gli articoli 1 e 24;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia ambientale”;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 6 aprile 2006, recante “Coordinamento delle iniziative e delle misure finalizzate a disciplinare gli interventi di soccorso e di assistenza alla popolazione in occasione di incidenti stradali, ferroviari, aerei ed in mare, di esplosioni e crolli di strutture e di incidenti con presenza di sostanze pericolose”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 13 aprile 2006, n. 87;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Capo del Dipartimento della protezione civile 2 maggio 2006, recante “Indicazioni per il coordinamento operativo di emergenze dovute a incidenti stradali, ferroviari, aerei e in mare, ad esplosioni e crolli di strutture e ad incidenti con presenza di sostanze pericolose”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 3 maggio 2006, n. 101;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 2007, recante “Linee guida per l'informazione alla popolazione sul rischio industriale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 5 marzo 2007, n. 53;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008, relativo alla “Organizzazione e funzionamento di Sistema presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 febbraio 2009, n. 41;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2008, recante “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 13 febbraio 2009, n. 36;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo del 27 gennaio 2010, n. 32 “Attuazione della direttiva 2007/2/CE, che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale della Comunità europea (INSPIRE)”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49 “Attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni” e, in particolare, l’articolo 7;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 marzo 2010, recante “Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 24 maggio 2010, n. 119;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 novembre 2010, recante “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 novembre 2010, n. 271;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 1 luglio 2011, in materia di “Lotta attiva agli incendi boschivi”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 settembre 2011, n. 208;

\r\n\r\n

VISTO il decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante “Adozione del sistema di riferimento geodetico nazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 27 febbraio 2012, n. 48;

\r\n\r\n

VISTO il decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante “Regole tecniche per la definizione del contenuto del Repertorio nazionale dei dati territoriali, nonché delle modalità di prima costituzione e di aggiornamento dello stesso”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 27 febbraio 2012, n. 48;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile 12 gennaio 2012 in tema di tutela della salute e della sicurezza dei volontari di protezione civile, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 6 aprile 2012, n. 82;

\r\n\r\n

VISTA l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29 febbraio 2012, n. 4007, recante “Attuazione dell’art. 11 del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77”, in merito ai contributi per gli interventi di prevenzione del rischio sismico per l’anno 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 marzo 2012, n. 56;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 9 novembre 2012, inerente agli “Indirizzi operativi volti ad assicurare l'unitaria partecipazione delle organizzazioni di volontariato all'attività di protezione civile” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 1 febbraio 2013, n. 27;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2014, relativa al “Programma nazionale di soccorso per il rischio sismico” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2014, n. 79;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2014, recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico del Vesuvio”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 12 maggio 2014, n. 108;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2014, recante l’“Istituzione del Nucleo Tecnico Nazionale (NTN) per il rilievo del danno e la valutazione di agibilità nell'emergenza post-sismica e approvazione dell'aggiornamento del modello per il rilevamento dei danni, pronto intervento e agibilità per edifici ordinari nell'emergenza post-sismica e del relativo manuale di compilazione”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 ottobre 2014, n. 243;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2014, recante gli “Indirizzi operativi inerenti l’attività di protezione civile nell’ambito dei bacini in cui siano presenti grandi dighe”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 4 novembre 2014, n. 256;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 24 febbraio 2015, inerente agli Indirizzi operativi inerenti la predisposizione della parte dei piani di gestione relativa al sistema di allertamento nazionale, statale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile di cui al decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49 di recepimento della Direttiva 2007/60/CE”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 31 marzo 2015, n. 75;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile del 2 febbraio 2015, recante “Indicazioni alle Componenti ed alle Strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile inerenti l’aggiornamento delle pianificazioni di emergenza ai fini dell’evacuazione cautelativa della popolazione della Zona rossa vesuviana”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 31 marzo 2015, n. 75;

\r\n\r\n

VISTE le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, inerenti a “La determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di Coordinamento e delle Aree di Emergenza” del 31 marzo 2015;

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VISTA la direttiva del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 23 aprile 2015, relativa alle “Procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale in caso di emergenze derivanti da calamità naturalipubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 23 luglio 2015, n. 169;

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VISTO il decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105, recante “Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 novembre 2015 recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico del Vesuvio per le aree soggette a ricaduta di materiale piroclastico - Zona gialla”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 gennaio 2016, n. 13;

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VISTE le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, recanti “Metodi e criteri per l’omogeneizzazione dei messaggi del Sistema di allertamento nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico e della risposta del sistema di protezione civile” del 10 febbraio 2016;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016, recante “Disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico dei Campi Flegrei”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19 agosto 2016, n. 193;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016, recante “Individuazione della Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario per il coordinamento dei soccorsi sanitari urgenti nonché dei Referenti Sanitari Regionali in caso di emergenza nazionale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20 agosto 2016, n. 194;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2017, recante “Istituzione del Sistema d’Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma - SIAM” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 5 giugno 2017, n. 128;

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VISTO il decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, recante “Codice della protezione civile” e, in particolare, gli articoli 3, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 15, 17, 18, 23, 24, 25, 38, 39 e 40;

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VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile 2 ottobre 2018, recante “Indicazioni alle Componenti ed alle Strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile per l’aggiornamento delle pianificazioni di protezione civile per il rischio maremoto” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 novembre 2018, n. 266;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 7 gennaio 2019, recante “Impiego dei medici delle Aziende sanitarie locali nei Centri operativi comunali ed intercomunali, degli infermieri ASL per l’assistenza alla popolazione e la scheda SVEI per la valutazione delle esigenze immediate della popolazione assistita” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20 marzo 2019, n. 67;

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VISTO il decreto legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito nella legge 14 giugno 2019, n. 55, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” ed, in particolare, l’articolo 28 recante modifiche al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, “Codice delle comunicazioni elettroniche”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 12 agosto 2019, recante “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale e per la pianificazione di protezione civile territoriale nell’ambito del rischio valanghe”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 2 ottobre 2019, n. 231;

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VISTO il decreto legislativo 6 febbraio 2020, n. 4, recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 2 gennaio 2018, recante “Codice della Protezione Civile”;

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 24 febbraio 2020, inerente ai “Rimborsi spettanti ai datori di lavoro pubblici e privati dei volontari, ai volontari lavoratori autonomi/liberi professionisti e alle organizzazioni di volontariato per le attività di protezione civile autorizzate” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 maggio 2020, n.127;

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VISTO il decreto del Segretario Generale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, n. 121 del 26 marzo 2020, recante \"Disciplina la riorganizzazione della Unità di Crisi coordinamento Nazionale\";

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VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2020, recante “Allertamento di protezione civile e sistema di allarme pubblico IT-Alert”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 12 febbraio 2021, n. 36;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 18, comma 4, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, le modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività di pianificazione di protezione civile e del relativo monitoraggio, aggiornamento e valutazione sono disciplinate con direttiva da adottarsi ai sensi dell’articolo 15 del medesimo decreto, al fine di garantire un quadro coordinato in tutto il territorio nazionale e l’integrazione tra i sistemi di protezione civile dei diversi territori, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, l’articolazione di base dell’esercizio della funzione di protezione civile a livello territoriale è organizzata nell’ambito della pianificazione di cui all’articolo 18 del medesimo decreto che, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, definisce gli ambiti territoriali e organizzativi ottimali individuati dalle Regioni, sulla base dei criteri generali fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 4;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, il Presidente del Consiglio di ministri, con direttiva di cui all’articolo 15 del medesimo decreto, predispone gli indirizzi per lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di protezione civile di cui all’articolo 2 del decreto, al fine di assicurarne l’unitarietà nel rispetto delle peculiarità dei territori;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettere c) e d) del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, il Presidente del Consiglio dei ministri si avvale del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri per l’elaborazione delle proposte delle direttive di cui all’articolo 15, nonché per l’elaborazione ed il coordinamento dell’attuazione dei piani nazionali riferiti a specifici scenari di rischio di rilevanza nazionale e dei programmi nazionali di soccorso contenenti il modello di intervento per l’organizzazione della risposta operativa in caso o in vista di eventi calamitosi di rilievo nazionale;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, con la direttiva di cui al successivo articolo 18, comma 4, sono individuati i contenuti tecnici minimi per l’efficace assolvimento, da parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle attribuzioni di cui al medesimo articolo 10;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, le Regioni, sulla base dei criteri generali fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 4, del medesimo decreto favoriscono l’individuazione del livello ottimale di organizzazione di protezione civile a livello territoriale al fine di garantire l’effettività delle funzioni di protezione civile, nonché l’organizzazione di modalità di supporto per gli interventi da porre in essere in occasione di emergenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a), ivi inclusa l’organizzazione dei presidi territoriali;

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CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, i Comuni, anche in forma associata, nonché ai sensi dell’articolo 1, della legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano l’attuazione delle attività di protezione civile nei rispettivi territori, secondo quanto stabilito nella pianificazione di cui all’articolo 18, nel rispetto delle disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo, delle leggi regionali in materia di protezione civile e del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

\r\n\r\n

CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, su proposta del Capo del Dipartimento della protezione civile, possono essere adottate direttive del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di assicurare, sul piano tecnico, l’indirizzo unitario, nel rispetto delle peculiarità dei territori, per l’esercizio della funzione e lo svolgimento delle attività di protezione civile, nell’ambito dei limiti e delle finalità delle quali, il Capo del Dipartimento della protezione civile, può adottare indicazioni operative volte all’attuazione di specifiche disposizioni in esse contenute da parte del Servizio nazionale della protezione civile, consultando preventivamente le componenti e le strutture operative nazionali interessate;

\r\n\r\n

RAVVISATA la necessità di ottimizzare la capacità di pianificazione di protezione civile per favorire un’adeguata risposta alle emergenze locali dovute ad eventi calamitosi e di omogeneizzare il metodo di pianificazione ai diversi livelli territoriali;

\r\n\r\n

SU PROPOSTA del Capo del Dipartimento della protezione civile;

\r\n\r\n

ACQUISITA l’intesa della Conferenza unificata in data 25 marzo 2021;

\r\n\r\n

EMANA

\r\n\r\n

la seguente direttiva recanteIndirizzi per la predisposizione dei piani di protezione civile ai diversi livelli territoriali.

\r\n\r\n

1. Finalità e principi generali

\r\n\r\n

La presente direttiva è emanata in attuazione dell’articolo 18 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, recante “Codice della protezione civile” (di seguito “Codice”). In particolare, il comma 4 del suddetto articolo stabilisce che “le modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività di pianificazione di protezione civile e del relativo monitoraggio, aggiornamento e valutazione” sono disciplinate con direttiva da adottarsi ai sensi dell’articolo 15 del Codice al fine di ”garantire un quadro coordinato in tutto il territorio nazionale e l'integrazione tra i sistemi di protezione civile dei diversi territori, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano”.
\r\n
\r\nLa pianificazione di protezione civile è un’attività di sistema che deve essere svolta congiuntamente da tutte le amministrazioni ai diversi livelli territoriali per la preparazione e la gestione delle attività di cui all’articolo 2 del Codice, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
\r\n
\r\nLa finalità del presente provvedimento è quella di omogeneizzare il metodo di pianificazione di protezione civile ai diversi livelli territoriali per la gestione delle attività connesse ad eventi calamitosi di diversa natura e gravità, secondo quanto indicato nell’allegato tecnico che ne costituisce parte integrante e sostanziale.
\r\n
\r\nCome previsto dal Codice, i livelli di pianificazione sono:

\r\n\r\n\r\n\r\n

1.1 Livello nazionale

\r\n\r\n

A livello nazionale, in caso di eventi che si manifestino con particolare gravità, tali da richiedere l’intervento di risorse regionali e nazionali, in accordo con il principio di sussidiarietà, si applicano le disposizioni contenute nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008 inerente agli “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”. Il Dipartimento della protezione civile provvede all’elaborazione ed al coordinamento dell’attuazione dei piani nazionali riferiti a specifici scenari di rischio di rilevanza nazionale e dei programmi nazionali di soccorso, contenenti la struttura organizzativa nazionale e gli elementi conoscitivi del territorio per l’organizzazione della risposta operativa in caso o in vista di eventi calamitosi di rilievo nazionale. I Programmi nazionali di soccorso di cui all’articolo 8 del Codice, integrati dagli allegati di competenza regionale, approvati d’intesa con il Dipartimento, sono da considerarsi quali piani nazionali di protezione civile. Le Regioni concorrono alle attività di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite anche con la Colonna mobile nazionale delle Regioni, che viene coordinata nell’ambito del Comitato operativo della protezione civile o dal Dipartimento della protezione civile attraverso il supporto della Commissione speciale Protezione civile della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

\r\n\r\n

Per quanto attiene alla pianificazione nazionale, ci si riferisce a determinati scenari di rischio, rientranti tra quelli indicati all’articolo 16 del Codice, il cui verificarsi può dar luogo ad una tipologia di evento emergenziale di cui alla lettera c), comma 1, dell’articolo 7 del Codice e, quindi, determinare la necessità di mobilitare e coordinare l’intervento dell’intero Servizio nazionale della protezione civile. Il piano nazionale, oltre a descrivere il territorio potenzialmente interessato, individua, altresì, le necessarie misure da attuare nonché le corrispondenti procedure operative finalizzate a garantire gli interventi di salvaguardia della popolazione.

\r\n\r\n

La presente direttiva non disciplina la struttura dei piani di protezione civile nazionali, per i quali si rinvia a quanto previsto dalle disposizioni normative e dalle indicazioni operative emanate per i rischi specifici e per gli scenari di rischio nazionali.

\r\n\r\n

1.2 Livello regionale

\r\n\r\n

A livello regionale, le Regioni provvedono all’adozione ed all’attuazione del piano regionale di protezione civile, che prevede criteri e modalità di intervento da seguire in caso di emergenza secondo quanto stabilito dalla lettera a), comma 1, dell’articolo 11 del Codice. In particolare, il piano definisce le modalità di coordinamento del concorso delle diverse strutture regionali alle attività di protezione civile.

\r\n\r\n

1.3 Livello provinciale/Città metropolitana/area vasta

\r\n\r\n

A livello provinciale, le Regioni provvedono alla predisposizione dei piani provinciali di protezione civile, ove non diversamente disciplinato nelle leggi regionali, in raccordo con le Prefetture - Uffici territoriali del Governo sulla base degli indirizzi regionali di cui alla lettera b), comma 1, dell’articolo 11 del Codice.

\r\n\r\n

Il piano provinciale/Città metropolitana/area vasta deve essere elaborato riportando essenzialmente lo scenario di riferimento, le modalità per la diffusione eventuale delle allerte, gli aspetti connessi all’organizzazione del sistema di coordinamento di livello provinciale in emergenza, le modalità che garantiscano il flusso delle comunicazioni e le procedure operative di attivazione e raccordo tra gli enti coinvolti.

\r\n\r\n

Ai fini di economicità e semplificazione dell’iter di pianificazione, nel caso in cui il soggetto definito per la pianificazione provinciale e di ambito sia il medesimo, il piano provinciale include le pianificazioni di tutti gli ambiti di competenza.

\r\n\r\n

1.4 Livello d’ambito

\r\n\r\n

Il Codice prevede, agli articoli 3, 11 e 18, la necessità di definire a cura delle Regioni gli “ambiti territoriali e organizzativi ottimali” (di seguito “ambiti”) che devono essere “costituiti da uno o più comuni” per assicurare lo svolgimento delle attività di protezione civile.

\r\n\r\n

A livello provinciale, gli ambiti rappresentano, pertanto, il livello territoriale in cui si esplicita l’articolazione di base dell’esercizio della funzione di protezione civile. Il piano di protezione civile d’ambito deve essere redatto dalla Regione, ove non diversamente previsto nelle leggi regionali, ai sensi della lettera o), comma 1, dell’articolo 11 del Codice.

\r\n\r\n

Lo scopo del piano di ambito è quello di garantire l’ottimizzazione delle risorse disponibili, supportando i Comuni nella gestione delle risorse in emergenza, nonché di garantire il necessario raccordo informativo tra il livello comunale e quello provinciale/regionale. La pianificazione di protezione civile di ambito non è, quindi, sostitutiva di quella comunale, ma è parte integrante della pianificazione di livello provinciale o con essa coordinata in base a quanto stabilito dalle norme regionali.

\r\n\r\n

1.5 Livello comunale

\r\n\r\n

A livello comunale, si provvede alla predisposizione dei piani comunali di protezione civile sulla base degli indirizzi regionali di cui alla lettera b), comma 1, dell’articolo 11 del Codice, ferme restando le disposizioni specifiche riferite a Roma capitale di cui al comma 7, articolo 12, del medesimo Codice.

\r\n\r\n

I contenuti della pianificazione di protezione civile comunale indicati nella presente direttiva devono essere commisurati all’effettiva capacità di pianificazione da parte dei Comuni di piccole dimensioni.

\r\n\r\n

Alla definizione dei piani di protezione civile comunale, al loro aggiornamento ed alla relativa attuazione devono concorrere tutte le aree/settori dell’amministrazione (ad esempio: urbanistica, settori tecnici, viabilità) sotto il coordinamento del Servizio di protezione civile comunale ove esistente.

\r\n\r\n

1.6 Attuazione dell’articolo 10, comma 4, del Codice

\r\n\r\n

Il presente provvedimento ha, inoltre, la finalità di definire, in attuazione dell’articolo 10, comma 4, del Codice, gli elementi fondamentali della pianificazione di protezione civile ai diversi livelli territoriali, da intendersi come i contenuti tecnici minimi per l’intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ai fini dell’assolvimento dei compiti loro affidati. Gli elementi di pianificazione forniti dalla presente direttiva costituiscono il riferimento per consentire che l’intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia uniforme sul territorio nazionale, sulla base delle indicazioni che verranno fornite dal Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile alle articolazioni territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

\r\n\r\n

L’allegato alla presente direttiva disciplina, pertanto, l’individuazione di elementi strategici minimi ed indispensabili per i contenuti dei piani di protezione civile ai diversi livelli territoriali, tra cui:

\r\n\r\n\r\n\r\n

1.7 Partecipazione del volontariato organizzato alla pianificazione di protezione civile

\r\n\r\n

In attuazione dell’articolo 38, comma 3, del Codice, il volontariato organizzato di protezione civile prende parte alle attività di redazione ed aggiornamento della pianificazione partecipando secondo le forme e le modalità che saranno concordate con l’Autorità competente. Per tale attività può essere prevista l’applicazione dei benefici di cui agli articoli 39 e 40 del Codice.

\r\n\r\n

2. Disposizioni finali

\r\n\r\n

Per le Province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze loro affidate dai relativi statuti e dalle relative norme di attuazione, ai sensi dei quali provvedono alle finalità della presente direttiva.

\r\n\r\n

Il Dipartimento della protezione civile provvede a:

\r\n\r\n
    \r\n\t
  1. emanare le indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Codice, condivise con le Regioni, inerenti all’organizzazione informativa dei dati territoriali, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana;
  2. \r\n\t
  3. emanare la mosaicatura nazionale degli ambiti territoriali e organizzativi ottimali, così come individuati dai provvedimenti normativi regionali, con indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile, entro sei mesi dall’individuazione formale degli ambiti da parte di tutte le Regioni.
  4. \r\n
\r\n\r\n

Le Regioni provvedono a:

\r\n\r\n
    \r\n\t
  1. definire, quale elemento preliminare del piano regionale di protezione civile, in condivisione con le Prefetture - Uffici Territoriali del Governo, le Province, le Città metropolitane e i Comuni, i confini geografici, con il supporto del Dipartimento della protezione civile, ed i criteri organizzativi degli ambiti territoriali ottimali entro dodici mesi dalla data di pubblicazione del presente provvedimento nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana;
  2. \r\n\t
  3. emanare o aggiornare gli indirizzi regionali per la pianificazione provinciale/Città metropolitana, di ambito e comunale di protezione civile per i diversi tipi di rischio, entro dodici mesi dalla data di pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, dandone comunicazione al Dipartimento della protezione civile;
  4. \r\n\t
  5. emanare o aggiornare il piano regionale di protezione civile entro dodici mesi dalla data di pubblicazione delle indicazioni operative del Capo del Dipartimento della protezione civile inerenti all’organizzazione informativa dei dati territoriali.
  6. \r\n
\r\n\r\n

I Comuni provvedono ad aggiornare i piani comunali di protezione civile in ottemperanza alla presente direttiva ed agli indirizzi regionali, entro dodici mesi dall’emanazione di questi ultimi.

\r\n\r\n

Nell’ipotesi di mancata attuazione da parte delle Regioni di quanto previsto alla lettera b), entro diciotto mesi dalla pubblicazione della presente direttiva nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, i Comuni possono procedere alla pianificazione di protezione civile secondo gli indirizzi regionali vigenti, nonché gli indirizzi di cui alla presente direttiva, laddove compatibili.

\r\n\r\n

All’attuazione del presente provvedimento si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

\r\n\r\n

La presente direttiva sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

\r\n\r\n

Roma, 30 aprile 2021                                                

\r\n\r\n

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
\r\n 

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Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 6 luglio 2021

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Indicazioni operative inerenti “La determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di coordinamento e delle Aree di emergenza”

\n

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO

\n

VISTA la legge 24 febbraio 1992, n. 225, recante “Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile\" e successive modificazioni ed integrazioni;
\nVISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, concernente il “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali” ed, in particolare, gli articoli 107 e 108;

\n

VISTO il decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, recante “Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile”; ed, in particolare, l’articolo 5, comma 5, ove è disposto che, secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Capo del Dipartimento della protezione civile rivolge alle Amministrazioni statali e ad ogni altra istituzione o organizzazione pubblica o privata le indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di coordinamento operativo in materia di protezione civile;

\n

VISTO il decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100;

\n

VISTO il decreto-legge 14 agosto 2013, n.93, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 ottobre 2013, n. 119, ed in particolare l’articolo 10;

\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, recante “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”;

\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, recante “Organizzazione e funzionamento di SISTEMA presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile”;

\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 2013, recante “Nuova costituzione e modalità di funzionamento del Comitato operativo della protezione civile”;

\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2014, recante il “Programma nazionale di soccorso per il rischio sismico”;

\n

VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile del 12 giugno 2013 repertorio n. 2553, che ha individuato un Gruppo di Lavoro per l’elaborazione di una proposta finalizzata alla definizione di criteri generali per l’individuazione dei Centri di coordinamento e delle Aree di emergenza;

\n

RAVVISATA l’esigenza di determinare specifici criteri di individuazione delle sedi dei centri del coordinamento nonché delle aree di emergenza previsti nei documenti di pianificazione di protezione civile, al fine di favorire la risposta, in emergenza, del Servizio nazionale di protezione civile sia sotto il profilo strutturale che logistico-funzionale;

\n

ADOTTA
\nle seguenti indicazioni operative inerenti la determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di Coordinamento e delle Aree di Emergenza.
\nPer le Provincie Autonome di Trento e Bolzano sono fatte salve le competenze riconosciute dallo Statuto speciale (DPR del 31 agosto 1972, n. 670 e s.m.i.) e dalle relative norme di attuazione. In tale contesto le Province autonome provvedono ad adeguare le presenti indicazioni operative alle norme dello Statuto di autonomia.

\n

1. CENTRI DI COORDINAMENTO
\nLa prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura dell’evento che la genera e l’estensione dei suoi effetti, deve essere garantita a partire dalla struttura di protezione civile locale – comunale, intercomunale e provinciale – fino a quella regionale e nazionale in considerazione della gravità dell’evento stesso e secondo le competenze individuate dalla normativa vigente.
\nIn ambito di pianificazione delle emergenze di protezione civile, l’insieme degli elementi funzionali alla gestione operativa e delle azioni da porre in essere per fronteggiare le diverse esigenze che si possono manifestare a seguito di eventi emergenziali, rappresenta il modello d’intervento. In particolare, al fine di garantire il necessario coordinamento operativo, il modello d’intervento definisce – nel rispetto delle vigenti normative statali e regionali nonché sulla base di accordi o intese specifiche - ruoli e responsabilità dei vari soggetti coinvolti, con il relativo flusso delle comunicazioni, individuando nel contempo i luoghi del coordinamento operativo. Al momento dell’emergenza, la definizione di modelli d’intervento dei livelli territoriali nelle relative pianificazioni può favorire la capacità della prima risposta locale di protezione civile necessaria al coordinamento delle attività di soccorso e di assistenza alle popolazioni interessate. In particolare, l’individuazione preventiva dei centri di coordinamento e delle aree di emergenza nonché la disponibilità e la loro fruibilità al momento dell’attivazione, favoriscono, in emergenza, una più efficiente operatività e una più veloce attivazione, ai vari livelli di coordinamento.
\nI centri di coordinamento si attivano sul territorio ai diversi livelli di responsabilità (comunale o intercomunale, provinciale, regionale e nazionale), in funzione dell’intensità e dell’estensione dell’evento emergenziale di protezione civile, al fine di garantire il coordinamento delle attività di soccorso, in relazione alla capacità di risposta del territorio interessato. Tali centri, nei quali sono rappresentate le componenti e le strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, di cui agli articoli 6 ed 11 della legge n. 225/1992 e s.m.i., si attivano anche secondo le indicazioni riportate nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, concernente gli indirizzi operativi per la gestione delle emergenze. L’azione dei vari soggetti esterni che intervengono a supporto delle strutture locali di protezione civile deve realizzarsi, mantenendo la propria organizzazione interna e la propria catena di coordinamento, in forma integrata e coordinata.
\nI centri di coordinamento strutturano la loro attività per Funzioni di supporto, intese come forma organizzativa di coordinamento per obiettivi, tale da porre in essere le risposte operative alle diverse esigenze che si manifestano nel corso di un’emergenza. Le Funzioni di supporto si raccordano tra di loro per il raggiungimento degli obiettivi operativi. Alle attività delle Funzioni di supporto concorrono tutti i soggetti ordinariamente competenti, adeguatamente coinvolti e preparati attraverso appositi programmi di formazione ed addestramento. Nella pianificazione di emergenza deve essere individuato il coordinatore del centro di coordinamento tra le Amministrazioni competenti e ciascuna Funzione deve essere affidata al coordinamento di un responsabile individuato tra il personale degli Enti e delle Amministrazioni competenti per materia e operanti sul territorio. In caso contrario, tali figure, dovranno essere messe a disposizione dalle Amministrativi territoriali sovraordinate, secondo il principio di sussidiarietà.
\nIn Allegato 1 viene riportato uno schema generale delle Funzioni di supporto attivabili in un centro di coordinamento, con i relativi macro-obiettivi che le stesse devono perseguire. Il numero, la consistenza e gli obiettivi delle Funzioni di supporto da attivare, ai diversi livelli di coordinamento territoriale, dipendono tuttavia sia dalle specifiche situazioni emergenziali, sia dalla sostenibilità dell’impegno da parte degli Enti e delle Amministrazioni responsabili per il relativo livello di pianificazione. Attesa la complessità e la specificità della gestione emergenziale, anche in relazione alla disponibilità delle risorse umane degli Enti e delle Amministrazioni che concorrono alla operatività del Centro di coordinamento, gli obiettivi di due o più Funzioni di supporto elencate in Allegato 1 possono essere accorpate e sostenute da un’unica Funzione.

\n

1.1 Centro di coordinamento comunale
\nA livello comunale, la pianificazione di emergenza deve essere redatta, ai sensi dell’articolo 108 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sulla base degli indirizzi regionali, contemplando le indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile con la Direttiva del 3 dicembre 2008. Inoltre la legge del 12 luglio 2012 n. 100 obbligava i Comuni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa Legge, ad approvare con deliberazione consiliare il piano di emergenza comunale, prevedendone altresì l’aggiornamento periodico e la trasmissione in copia alla regione, alla prefettura-ufficio territoriale di governo e alla provincia territorialmente competenti.
\nAl verificarsi dell’emergenza sul proprio Comune, il Sindaco - autorità di protezione civile - assume la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio comunale, nonché il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita e provvede ai primi interventi necessari a fronteggiare l’emergenza, dando attuazione a quanto previsto dalla pianificazione di emergenza. In particolare, il Sindaco svolge tali azioni nell’ambito del territorio comunale attraverso il personale del Comune e con l’impiego delle risorse umane e strumentali presenti a livello comunali, anche utilizzando il potere di ordinanza. Ove necessario, sulla base delle esigenze operative, il Sindaco può chiedere il concorso delle componenti e delle strutture operative presenti ed operanti sul territorio (strutture sanitarie, organizzazioni di volontariato, Enti gestori dei servizi essenziali, etc.) e, per il tramite della Prefettura – UTG, anche di eventuali risorse statuali (Vigili del Fuoco e Forze di Polizia).
\nIl Sindaco, nello svolgimento delle attività, si avvale del Centro operativo comunale (C.O.C.), attivato con le Funzioni di supporto necessarie alla gestione dell’emergenza, nelle quali sono rappresentate le diverse componenti e strutture operative che operano nel contesto locale.
\nL’individuazione della sede ove localizzare il C.O.C. è in carico al Sindaco (o suo delegato) e deve essere definita in fase di pianificazione.
\nLe Amministrazioni comunali sono tenute ad approvare, con delibera consiliare, i piani comunali di emergenza secondo i criteri e le modalità di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali.
\nTenuto conto che il territorio italiano è caratterizzato anche da piccole realtà municipali, è auspicabile che in fase di pianificazione di emergenza sia garantito da parte delle Amministrazioni provinciali e regionali un particolare ed adeguato supporto ai Sindaci di tali Comuni, affinché possano efficientemente organizzare le proprie strutture per la gestione delle emergenze.
\nAl fine di favorire il supporto delle azioni poste in essere a livello locale, è altresì auspicabile che i comuni di minore dimensione demografica possano esercitare in forma associata le funzioni di protezione civile, come previsto dall’articolo 33 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.i. e sulla base delle normative regionali vigenti. In particolare, ai sensi del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con legge 7 agosto 2012, n.135, i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, la funzione di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi.

\n

1.2. Centri di coordinamento provinciali
\nCentro di Coordinamento Soccorsi – C.C.S.
\nLa pianificazione provinciale di emergenza, fatto salvo quanto stabilito dalle disposizioni regionali in materia di protezione civile e anche sulla base di specifici accordi e protocolli tra le amministrazioni, è redatta, d’intesa e in forma sinergica, dalla Amministrazione Provinciale e - in particolare per quanto attiene agli aspetti connessi con le attivazioni in emergenza delle strutture statali del territorio di competenza - dal Prefetto; atteso anche il disposto dell’articolo 14, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e s.m.i., in raccordo con la Regione.
\nA livello provinciale, in fase emergenziale, il Prefetto assume, coordinandosi con il Presidente della giunta regionale, la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati.
\nPer coordinare gli interventi di protezione civile sul territorio della Provincia, viene costituito il Centro di Coordinamento Soccorsi (C.C.S.) nel quale sono rappresentati la Prefettura – UTG, le Amministrazioni regionale e provinciale, gli Enti, le Amministrazioni e le Strutture operative deputate alla gestione dell’emergenza. Qualora il modello adottato dalla Regione non indichi chiaramente a quale Autorità sia attribuita la funzione di responsabilità della struttura del C.C.S., e non fossero vigenti in tal senso opportuni protocolli d’intesa tra Prefetture e Province, tale funzione si intende assegnata ai rispettivi Prefetti, in qualità di rappresentanti dello Stato sul territorio. Il C.C.S. raccoglie, verifica e diffonde le informazioni relative all’evento ed alla risposta di protezione civile, attraverso il raccordo costante con i diversi Centri Operativi attivati sul territorio, con la Sala Operativa Regionale e con la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile.
\nCome noto, nei piani provinciali di emergenza è prassi consolidata che la sede individuata ad ospitare il C.C.S. coincida con l’edificio ospitante la Prefettura. Questi edifici, tuttavia, sono spesso strutture di non recente costruzione e collocati all’interno di centri storici caratterizzati da difficile viabilità interna, non garantendo la tempestiva funzionalità di tali sedi.
\nPertanto, nella pianificazione provinciale d’emergenza risulta in linea di massima opportuno individuare ufficialmente almeno una sede alternativa ove allocare il C.C.S., nella quale sia possibile attivare nell’immediatezza tutte le Funzioni di supporto e le attività di competenza. Al fine di rendere tempestivamente operativo il C.C.S., occorre altresì, attraverso un atto formale, individuare sia la sede ufficiale e quella alternativa, anche attraverso la stipula di opportuni protocolli d’intesa tra gli Enti e le Amministrazioni interessate. Tali atti, dovranno determinare fisicamente i luoghi in cui svolgere le attività in emergenza, identificando, altresì, i soggetti responsabili delle diverse Funzioni di supporto da attivare, in stretto raccordo con l’Amministrazione provinciale, al fine di recepire le rispettive pianificazioni ed ottenere un efficace sistema integrato di protezione civile.
\nIn fase di pianificazione, l’individuazione del C.C.S., con la relativa organizzazione, deve essere comunicata a tutte le Amministrazioni interessate presenti sul territorio nonché alla Regione e al Dipartimento della protezione civile. L’atto di formalizzazione deve essere anche trasmesso alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio provinciale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.
\nIl modello d’intervento provinciale prevede che il C.C.S. raccordi i propri interventi con i Comuni interessati dall’emergenza. Laddove emerga la necessità di istituire una struttura di coordinamento a supporto dei Comuni stessi, sia nei casi in cui i Comuni non riescano a far fronte alla gestione emergenziale sia quando il C.C.S. abbia la necessità di ottimizzare gli interventi sul territorio, il Prefetto, può prevedere anche l’attivazione di centri operativi intercomunali (C.O.M.).
\nCentro operativi intercomunali – C.O.M.
\nIn relazione all’estensione dell’area interessata, alla popolazione da assistere, a specifiche esigenze funzionali/operative, per supportare l’attività dei Centri Operativi Comunali e per raccordare gli interventi attuati a livello comunale con quelli provinciali, si attivano i Centri Intercomunali (Centri Operativi Misti - C.O.M.). Il C.O.M. è la struttura che rende operative le linee strategiche definite dal C.C.S., attraverso il coordinamento delle risorse da impiegare negli ambiti comunali di riferimento dei C.O.C..
\nL’attivazione dei C.O.M. è suggerita dalla necessità di organizzare gli interventi delle risorse provinciali o di altre provenienti dall’esterno in modo capillare sul territorio interessato da un evento calamitoso, ovvero di recepire in modo immediato le diverse esigenze provenienti dai Comuni afferenti al C.O.M. stesso.
\nLaddove nella pianificazione provinciale di emergenza siano già individuati Centri Operativi Intercomunali facenti capo a gestioni associate di protezione civile formalmente istituite, le funzioni dei C.O.M. sono svolte da tali centri.
\nIl C.O.M. viene attivato dal Prefetto, qualora leggi regionali o appositi accordi di programma non prevedano altrimenti. Nella pianificazione provinciale di emergenza dovrà essere individuato il Comune sede di C.O.M. ed il bacino di Comuni afferenti allo stesso. I C.O.M. sono ubicati in idonee strutture, preventivamente individuate dal Comune territorialmente competente, d’intesa con la prefettura – UTG e con il supporto tecnico delle Amministrazioni provinciale e regionale.
\nL’individuazione del C.C.S. e dei C.O.M. deve essere riportata all’interno del piano provinciale di emergenza quale strumento utile per coordinare le attività in emergenza. Tale documento deve essere pertanto redatto congiuntamente tra l’Amministrazione provinciale e la Prefettura – UTG, condiviso con la Regione e i Comuni e formalmente approvato.
\nCriteri per l’individuazione dei Comuni sede C.O.M., ambiti territoriali e formalizzazione
\nLa suddivisione del territorio provinciale in C.O.M. deve essere effettuata preventivamente sulla base di criteri che tengano conto degli aspetti morfologici e demografici, in modo da garantire omogeneità d’intervento sul territorio.
\nLa scelta del Comune sede di C.O.M. deve pertanto essere effettuata seguendo principalmente due criteri oggettivi, quali il bacino di utenza e il tempo di percorrenza tra i centri operativi comunali e il C.O.M..
\nIl “bacino di utenza” considera la capacità di assistenza che un C.O.M. può offrire al territorio di competenza. Affinché possa essere garantita una efficiente ed efficace gestione dell’emergenza, può essere assunto, quale valore di riferimento standard, un bacino di utenza di circa 30.000 – 35.000 abitanti residenti. Qualora il Comune sia di grandi dimensioni, ovvero abbia più di circa 35.000 abitanti, il valore del parametro di riferimento deve essere opportunamente modificato ovvero adattato alla suddivisione amministrativa già presente in via ordinaria (Quartieri, Municipi o Circoscrizioni).
\nIl “tempo di percorrenza” tiene in considerazione il sistema infrastrutturale, principalmente quello stradale, presente nel territorio di pertinenza del C.O.M. e, pertanto, misura la rapidità con cui si possono raggiungere i Comuni afferenti al C.O.M.. Si assume, come valore di riferimento standard, un tempo di percorrenza non superiore a 45 minuti, inteso come il tempo massimo necessario, in automobile, per raggiungere, partendo dalla sede del C.O.M., qualsiasi zona del territorio afferente allo stesso. Il valore di riferimento standard può essere variato in presenza di particolari condizioni orografiche e deve essere valutato utilizzando la rete viaria principale, scelta tra quelle che non presentano criticità che possono comprometterne il regolare funzionamento in caso di evento calamitoso.

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Risulta altresì opportuno considerare anche altri criteri accessori che possono essere utilizzati in casi particolari o come criteri preferenziali a parità di altre condizioni:
\n- in presenza di ex Comunità Montane, o nei casi in cui vi siano delle associazioni di comuni ordinariamente definite, può essere valutata la possibilità di utilizzare gli stessi limiti della Comunità, laddove ciò realizzi economie di gestione. Tale criterio, laddove deroghi quello del bacino di utenza, dovrebbe essere utilizzato solo salvaguardando l’efficienza del sistema di soccorso, aiuto e ricovero alla popolazione;
\n- in zone a bassissima pericolosità sismica (zona 4) e/o idrogeologica, il valore del parametro di riferimento del criterio del “bacino di utenza” può essere aumentato;
\n- in zone ad elevata pericolosità sismica (zona 1) e/o idrogeologica, il valore del parametro di riferimento del “bacino di utenza” può essere ridotto;
\n- a parità di altre condizioni, sono preferibili quali Comuni sede di C.O.M. quelli prossimi ad una linea ferroviaria, ad un aeroporto, ad un eliporto, ad un porto commerciale, ad un porto turistico ovvero in prossimità di punti di accesso terrestri.
\nAl fine di rendere tempestivamente operativi i C.O.M. in emergenza è anche necessario formalizzare la scelta attraverso un atto ufficiale tra le Amministrazioni e gli Enti interessati. Tali atti, che sono emanati dal Prefetto, a meno di specifici accordi e protocolli d’intesa tra le amministrazioni, dovranno determinare fisicamente i luoghi in cui svolgere le attività, identificando, altresì, i soggetti responsabili delle diverse Funzioni di supporto da attivare, in stretto raccordo con l’Amministrazione provinciale, al fine di recepire le rispettive pianificazioni ed ottenere un efficace sistema integrato di protezione civile. In fase di pianificazione, l’individuazione del COM, con la relativa organizzazione, deve essere comunicata a tutte le Amministrazioni interessate presenti sul territorio nonché alla Regione e al Dipartimento della protezione civile. L’atto di formalizzazione deve essere anche trasmesso alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio provinciale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.

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1.3 Centro di coordinamento regionale
\nA livello regionale, la Sala Operativa Regionale (S.O.R.) – che in ordinario svolge le attività di monitoraggio sul territorio di competenza – in fase emergenziale, mantiene il raccordo con i Centri Operativi attivati a livello provinciale, intercomunale e comunale ed assicura l’impiego di tutte le risorse regionali, sulla base delle effettive esigenze ed istanze pervenute dai centri operativi sotto - ordinati. La S.O.R. mantiene uno stretto raccordo con la Sala Situazione Italia, con le sale operative regionali e provinciali delle strutture operative preposte al soccorso e/o alla pubblica utilità, con le sale di controllo od operative degli Enti e delle Amministrazioni che gestiscono le reti e le infrastrutture dei servizi.
\nIn fase di pianificazione, le Regioni possono approvare il Piano Regionale di protezione civile, che può prevedere criteri e modalità d’intervento da seguire in caso di emergenza, redatto sulla base delle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile.

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1.4 Centro di coordinamento nazionale
\nA livello Nazionale, in fase emergenziale, qualora se ne riscontrasse la necessità, il Capo del Dipartimento della protezione civile, può convocare il Comitato Operativo della protezione civile (C.O.). Il Comitato Operativo della protezione civile assicura la direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di emergenza, si riunisce di norma presso la sede del Dipartimento della Protezione Civile, è presieduto dal Capo del Dipartimento ed è composto da rappresentanti di Componenti e Strutture operative del sistema nazionale di protezione civile. Il C.O. ha l'obiettivo di valutare le notizie, i dati e le richieste provenienti dalle zone interessate dall'emergenza, definire le strategie di intervento e coordinare in un quadro unitario gli interventi di tutte le Amministrazioni ed Enti interessati al soccorso. Nel caso in cui fosse necessario l’utilizzo di mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega, di un Ministro con portafoglio o del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri segretario del Consiglio, anche su richiesta del Presidente della Regione o delle Regioni territorialmente interessate e comunque acquisita l'intesa delle medesime Regioni, delibera lo stato di emergenza determinandone durata ed estensione territoriale.
\nQualora si riscontrasse altresì la necessità di istituire in loco una struttura di coordinamento nazionale per fronteggiare l’emergenza, si provvede all’allestimento della Direzione di Comando e Controllo (DI.COMA.C.) nella sede più idonea tra quelle individuate in fase di pianificazione. La DI.COMA.C. assicura l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse nazionali sul territorio interessato, vede la partecipazione delle componenti e delle strutture operative, degli Enti gestori dei servizi essenziali e del sistema delle Regioni, in raccordo con i centri di coordinamento ed operativi attivati a livello territoriale. Le attività della DI.COMA.C. sono inizialmente volte a garantire una continuità rispetto a quelle intraprese dal Comitato Operativo ovvero dalle funzioni di SISTEMA presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile.
\nLa DI.COMA.C. si articola per Funzioni di supporto, che ne costituiscono la struttura organizzativa e rappresentano i diversi settori di attività. Ciascuna Funzione è costituita da rappresentanti degli Enti e delle Amministrazioni pubbliche e private che concorrono alla gestione dell’emergenza, con professionalità e risorse, per la specifica attività, e che permettono lo scambio di dati e di informazioni rilevanti ai fini dell’esercizio delle rispettive funzioni istituzionali. Le Funzioni di supporto, per quanto di rispettiva competenza ed in forma coordinata, interagiscono tra loro per il soddisfacimento delle esigenze operative e si rapportano con le analoghe funzioni dei centri di coordinamento provinciali attivati sul territorio. All’interno della DI.COMA.C. operano rappresentanti delle Strutture Operative (VVF, CC, PS, CNSAS, CRI, GdF, CFS, COI, CP, Polizia penitenziaria, etc.) che garantiranno il raccordo con le proprie strutture di coordinamento attivate in loco per soddisfare le esigenze rappresentate dalle Funzioni di supporto. Saranno, altresì, presenti rappresentanti del Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome, degli Enti Locali (es. ANCI), nonché del MiBAC con il compito di raccordarsi con le Funzioni di supporto alle quali afferiscono le attività di propria competenza.
\nL’attivazione e gli obiettivi che devono essere perseguiti e la composizione della DI.COMA.C. vengono determinate con specifici atti del Capo del Dipartimento della protezione civile che ne individua il coordinatore ed i referenti delle Funzioni di supporto.
\nCome previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio del 3 dicembre 2008, la Regione, in fase di pianificazione, individua e propone al Dipartimento della protezione civile possibili sedi da adibire a DI.COMA.C., nel rispetto dei requisiti di cui al paragrafo 2.1.
\nTenuto conto del carattere delle attività e delle funzioni che vengono svolte dalla DI.COMA.C., in fase di pianificazione, la Regione interessata, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, in accordo con la proprietà della struttura individuata, dovrà provvedere alla formalizzazione della sede (anche più di una) della DI.COMA.C. attraverso un atto ufficiale, anche congiunto tra i soggetti coinvolti, che impegni formalmente a renderla disponibile al momento dell’emergenza.
\nTale formalizzazione deve essere successivamente comunicata ai Presidenti delle Province, ai Prefetti, a tutti i Sindaci della Regione, ai Comandi regionali delle strutture operative presenti sul territorio. La Regione trasmetterà l’atto di formalizzazione anche alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio regionale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.

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2. INDIVIDUAZIONE DEI CENTRI DI COORDINAMENTO
\nSono riportati di seguito, in via sintetica, i criteri di riferimento per l’individuazione degli edifici e dei relativi spazi idonei ad ospitare la sede di un centro di coordinamento. Tali criteri intendono fornire un quadro di riferimento generale, con l’obiettivo di indirizzare gli Enti competenti verso l’identificazione di strutture in possesso di alcuni imprescindibili requisiti di base, in grado di rispondere in maniera ottimale alla funzione che sono chiamati a svolgere in fase di emergenza.

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2.1 Criteri per l’individuazione delle sedi
\nUn utile strumento di indirizzo all’individuazione dei Centri di Coordinamento comunale e provinciale è rappresentato da una scheda dedicata, denominata “Scheda semplificata di rilievo delle sedi C.O.M.” (Allegato 2), già utilizzata per il rilievo degli elementi strutturali e funzionali delle sedi C.O.M. in alcune Regioni dell’Italia centro-meridionale nel triennio 2005-2007, e poi modificata e testata nel 2011-2012 per la ricognizione degli edifici sedi C.O.M. nell’ambito delle attività di pianificazione nazionale nelle Regioni Calabria e Basilicata. Per quanto riguarda invece l’individuazione delle sedi del C.C.S. e della DI.COMA.C., lo strumento d’indirizzo è rappresentato dalla “Scheda semplificata di rilievo delle sedi DI.COMA.C. – C.C.S.” (Allegato 3).
\nTali schede consentono, attraverso un iter guidato di valutazione, di analizzare tutti gli elementi della sede e del contesto, anche con l’obiettivo di escludere situazioni palesemente inadeguate. In ogni caso, va precisato che i sopralluoghi effettuati con l’ausilio delle schede hanno carattere speditivo e quindi, anche qualora non si evidenziassero condizioni di vulnerabilità manifeste, rientrando i centri di coordinamento. negli edifici a carattere strategico la cui funzionalità nell’ambito di un evento calamitoso assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, ogni tipo di valutazione conclusiva va sostenuta dai necessari atti documentali e da certificazioni, sia in ordine all’idoneità sotto il profilo sismico strutturale, di amplificazioni di sito e sia in ordine alle valutazioni sull’assetto derivante dai rischi indotti (ad esempio, idro-geologico, antropico etc.) del sito.
\nPer quanto riguarda le caratteristiche funzionali, sono riportate specifiche per ogni tipologia di centro di coordinamento.

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Idoneità di localizzazione
\nE’ opportuno considerare, al fine della scelta della sede idonea ad ospitare un centro di coordinamento, oltre che elementi strutturali propri dell’edificio, anche le caratteristiche geo-morfologiche al contorno, l’idoneità dal punto di vista idrogeologico, le condizioni di amplificazioni di sito, le condizioni di pericolosità derivanti da eventi franosi/instabilità di versanti, la liquefazione dei terreni e la pericolosità idraulica, nonché gli elementi derivanti da rischi antropici.
\nPertanto, ai fini di un preliminare giudizio di idoneità localizzativa dell’area di sedime dell’edificio, un riferimento generale può essere rappresentato dalla seguente scala di preferenza - che prescinde da potenziali situazioni di pericolosità locale (effetti sismici locali, instabilità di versanti, fenomeni di esondazione, etc.), che tuttavia devono essere tenuti in debita considerazione:
\n1) Insediamenti di pianura super-alluvionali;
\n2) Insediamenti collinari di crinale/montani extravallivi;
\n3) Insediamenti costieri marittimi;
\n4) Insediamenti collinari di sommità/costieri lacustri;
\n5) Insediamenti collinari di pendice/montani intravallivi/sub-alluvionali.
\nSotto il profilo dell’idoneità dal punto di vista idrogeologico, il documento di riferimento riguardo alle condizioni di pericolosità e di rischio del territorio è rappresentato dal Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.). Sono da escludere dal novero dei potenziali edifici quelli le cui aree di sedime risultino nel P.A.I. ricomprese nelle perimetrazioni da tipo R4 (rischio molto elevato) a R2 (rischio medio), a meno che non vengano realizzati preventivamente interventi di riduzione del rischio. Saranno al più ammissibili, con le dovute cautele, aree di tipo R1 (rischio moderato), ma solo dopo aver accertato l’impossibilità di individuare aree non a rischio. Qualora la scelta delle aree dovesse inevitabilmente indirizzarsi verso situazioni non ancora prese in esame nel P.A.I., dovrà essere effettuato uno studio di dettaglio, per la valutazione della pericolosità e del rischio, anche eventualmente con metodi speditivi laddove non siano disponibili i dati di base per l’effettuazione di un’analisi rigorosa.
\nPer quanto attiene le eventuali condizioni di pericolosità derivanti da eventi franosi/instabilità di versanti occorrerà valutare i seguenti parametri:

\n

In relazione a quanto esposto, alla luce della disamina della cartografia tematica eventualmente disponibile, si potranno immediatamente escludere aree:

\n

Vanno, infine, valutati gli aspetti connessi ad eventuali condizioni di pericolosità antropica. A tal riguardo, in linea generale, nella valutazione dell’idoneità dell’area di insediamento dell’edificio vanno individuate soluzioni volte ad escludere:

\n

Caratteristiche strutturali
\nLa scelta dell’edificio dei centri di coordinamento, prevede un’attenta valutazione delle caratteristiche strutturali, al fine di effettuare una stima della vulnerabilità sismica dello stesso.
\nLa sezione B della citata scheda di rilevamento, riguardante la vulnerabilità strutturale dell’edificio, delinea un iter di valutazione finalizzato ad analizzare le peculiarità del complesso strutturale dell’edificio stesso anche in relazione all’anno di classificazione sismica del Comune ed alla relativa normativa sismica vigente, sia attuale che riferita al momento della progettazione ed esecuzione.
\nPreliminarmente all’analisi dell’edificio, dovranno essere acquisite informazioni sul progetto dell’opera, in particolare per quanto riguarda l’età di progettazione e di realizzazione, il collaudo statico, il coefficiente d’importanza utilizzato (in zona sismica) e la presenza di giunti tecnici efficaci (ossia sufficientemente ampi e privi di occlusioni). Va, altresì, attentamente valutato anche lo stato di manutenzione generale, sia delle parti strutturali che delle finiture e degli impianti. Tutte le valutazioni trovano la loro sintesi nella sezione conclusiva F, nella quale si esprime un giudizio speditivo ed esperto sulla vulnerabilità propria dell’edificio stesso.
\nCome già anticipato, i sopralluoghi effettuati con l’ausilio della scheda hanno carattere speditivo e quindi, anche qualora non si evidenziassero sotto il profilo strutturale condizioni di vulnerabilità manifeste, in ogni caso occorre reperire i necessari atti documentali e le certificazioni relative all’esistenza di una verifica sismica della struttura.
\nInfatti, rientrando i centri di coordinamento negli edifici a carattere strategico, la cui funzionalità nell’ambito di un evento calamitoso assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sulla base di quanto disposto dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, articolo 2, comma 5, è fatto obbligo di procedere a verifica sismica, a meno che l’opera non sia stata progettata secondo le norme vigenti successivamente al 1984 (senza che sia intervenuta variazione di zona/categoria sismica). Si sottolinea, altresì, che, qualora successivamente alla data della verifica sismica disponibile, fossero state apportate delle modifiche nell’edificato (soprelevazione, ampliamento, variazioni di carichi e/o di destinazione d’uso, interventi sulle strutture), ai sensi del punto 8.4.1 del Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008 “Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni”, è fatto obbligo di riprocedere alla valutazione della sicurezza e, qualora necessario, all’adeguamento sismico della struttura, in ogni caso, con riferimento all’intera costruzione.
\nAl fine di un più generale criterio di ottimizzazione delle risorse, le Autorità competenti, dovranno orientarsi preferibilmente verso la scelta di edifici già in possesso dei suddetti requisiti e che garantiscano la celere reversibilità degli usi degli spazi in funzione della contingenza.

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Per quanto riguarda i C.O.M., qualora nell’ambito amministrativo del Comune individuato ad ospitare la sede del centro di coordinamento non siano presenti edifici che rispondano a tutte le citate caratteristiche, possono essere verificate le seguenti soluzioni:

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Impianti e dotazioni
\nL’edificio deve essere dotato di tutti gli impianti di distribuzione di acqua, luce e riscaldamento, perfettamente funzionanti. Occorre, inoltre, che siano presenti le necessarie dotazioni informatiche e di telecomunicazioni o quantomeno le relative predisposizioni. In particolare, gli ambienti adibiti a sede del centro di coordinamento devono essere dotati almeno di rete telefonica ed informatica, nonché dei sistemi di telecomunicazioni. In particolare, per quanto riguarda i C.O.C., i C.O.M. e i C.C.S. devono essere assicurate le condizioni di base per l’installazione di un efficace sistema di comunicazioni radio, che, nella prima fase dell’emergenza, costituisce il principale sistema di comunicazione.
\nNell’ALLEGATO A delle schede di semplificazione di rilievo delle sedi (di cui agli Allegati 2 e 3), viene riportata una check list delle dotazioni minime e delle attrezzature che devono essere presenti, e fruibili in emergenza, a supporto delle attività del centro di coordinamento.
\nLa disponibilità, l’efficienza ed il funzionamento delle suddette attrezzature devono essere costantemente garantiti, a cura di un soggetto responsabile preventivamente individuato. In considerazione di ciò, tale ALLEGATO A deve essere sottoscritto per validazione dall’Ente responsabile dell’attivazione della struttura in emergenza.
\nCaratteristiche funzionali
\nLe sedi dei centri di coordinamento devono garantire la massima operatività in condizioni d’uso di massimo “stress” dal punto di vista della accessibilità e della praticabilità, nonché dell’utilizzo degli spazi e delle attrezzature presenti. L’organizzazione degli spazi è dunque un aspetto cruciale ed allo stesso tempo il punto di massima criticità potenziale dell’edificio.
\nIn particolare, si riporta di seguito una elencazione delle caratteristiche per ogni tipologia di centro di coordinamento.

\n

Centri Operativi Comunali
\nIl dimensionamento degli spazi deve essere commisurato alle risorse disponibili all’interno dell’Amministrazione comunale che dovrà comunque garantire la funzionalità di:

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Tale scelta dovrà tener conto delle attività proprie svolte ordinariamente dal Comune in modo da garantire la continuità amministrativa degli Uffici comunali e lo svolgimento delle attività ordinarie (anagrafe, catasto, etc.) anche durante la gestione operativa dell’emergenza.

\n

Centri Operativi Misti
\nAll’interno della sede è necessario che vengano garantite le seguenti dotazioni:

\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte, si stima che agli spazi adibiti a C.O.M. dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 300 m2.
\nE’ auspicabile che la sede individuata abbia la disponibilità, anche nelle immediate vicinanze, di idonei spazi esterni da utilizzare come parcheggio, di dimensioni adeguate ad ospitare i veicoli degli operatori. Sarebbe altresì opportuno individuare anche spazi necessari ad ospitare materiali e strumentazioni funzionali alla sede stessa (gruppi elettrogeni, apparati per i sistemi satellitari, etc.).

\n

Centri di Coordinamento Soccorsi
\nAll’interno della sede è necessario che vengano garantite le seguenti dotazioni:

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Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze operative si stima che agli spazi adibiti a C.C.S. dovrebbe essere destinata una superficie minima di circa 120 - 150 m2. E’ auspicabile che la sede individuata abbia la disponibilità, anche nelle immediate vicinanze, di idonei spazi esterni da utilizzare come parcheggio, di dimensioni adeguate ad ospitare i veicoli degli operatori.
\nPer quanto riguarda invece la sala operativa provinciale, se prevista, devono essere garantite le seguenti dotazioni:

\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte, si stima che agli spazi adibiti a sala operativa provinciale dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 300 m2.

\n

Direzione di Comando e Controllo
\nDal punto di vista distributivo, la sede deve essere in grado di ospitare almeno:

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Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte si stima che agli spazi adibiti a DI.COMA.C. dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 800 – 1.000 m2, con un’area esterna di circa 3.000 m2 da dedicare a parcheggio e ad eventuale stoccaggio di risorse per il supporto logistico. In fase di pianificazione è opportuno che, su scala regionale, vengano individuate un numero di sedi idonee da garantire una dislocazione omogenea sul territorio da consentire, sulla base dell’evento emergenziale, di poter attivare la DI.COMA.C. più funzionale alle attività di coordinamento.

\n

Accessibilità
\nLa scelta del centro di coordinamento deve essere vincolata alla idoneità dei collegamenti stradali a scala comunale. La sezione E della scheda semplificata consente di evidenziare eventuali condizioni di criticità presenti lungo i percorsi di accessibilità principale da e verso la sede individuata.
\nIn particolare, deve essere analizzata la presenza e/o le eventuali condizioni di vulnerabilità di:

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Tra gli elementi di criticità connessi alla viabilità prossima alla sede, in proiezione della scelta localizzativa, occorre distinguere i fattori assolutamente pregiudiziali (vulnerabilità del contesto urbanistico) da quelli “sanabili” (traffico, ostacoli temporanei, etc.). In particolare, devono essere escluse localizzazioni all’interno di centri storici caratterizzati da tortuosa viabilità interna e/o presenza di edilizia vetusta, con fabbricati o altri elementi strutturali sismo-vulnerabili o a rischio idrogeologico. Inoltre elemento di criticità può essere rappresentato dalle reti di distribuzione lungo i percorsi di accesso per l’eventuale danneggiamento a seguito di un evento calamitoso, sia per pericolosità intrinseca (ad esempio, reti del gas) che per la necessità di impiantare cantieri lungo l’asse stradale per il ripristino delle stesse reti.
\nQuanto sopra esposto vale anche per tutte le opere d’arte stradali vulnerabili che possano ostacolare o addirittura impedire la circolazione, sia in modo diretto che indotto. A titolo di esempio si può considerare un muro fatiscente adiacente alla strada che potrebbe crollare o richiedere una ingombrante opera provvisionale per la messa in sicurezza; un vecchio ponte in muratura con evidenze di dissesto sia della struttura che del piede di appoggio, che potrebbe non garantire il passaggio di particolari mezzi di soccorso; una strettoia o un sottopasso che impongono una limitazione del traffico a determinati veicoli; un passaggio a livello.
\nAl fine di favorire il raggiungimento dei centri di coordinamento anche da parte dei soccorritori provenienti da altri territori, è auspicabile che tali centri, individuati in sede di pianificazione, siano facilmente identificabili anche attraverso l’utilizzo di apposita cartellonistica da apporre all’ingresso ed eventualmente lungo le principali vie di accesso urbane.

\n

2.2 Destinazioni d’uso in ordinario ed in emergenza
\nLa disponibilità di un edificio sicuro e funzionalmente pronto per l’attivazione di una struttura di coordinamento in emergenza, è requisito indispensabile per consentire la celere attivazione ed organizzazione dei soccorsi. Di seguito si riportano a titolo esemplificativo, i possibili edifici da prendere in considerazione per l’individuazione di un centro di coordinamento di protezione civile:

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La caratteristica fondamentale di tali edifici deve essere la riconvertibilità d’uso in caso d’emergenza, ossia la celere reversibilità (anche mediante strumenti temporanei quali, ad esempio, cablaggi, pannelli rimovibili di suddivisione degli ambienti) per massimizzare la capacità di gestione dello spazio in funzione della contingenza d’uso. La scelta di plessi scolastici per l’allestimento di Centri di coordinamento, deve essere limitata ai casi di assoluta indisponibilità di soluzioni alternative, tenuto conto che la ripresa delle attività scolastiche, è di primaria importanza e segue anche una tempistica più rapida per il rientro verso le normali condizioni di vita.
\nCon riferimento alla Scheda semplificata di rilievo delle sedi, ALLEGATO A, Sezione ALL. A2 “Individuazione uso promiscuo e tempi di riconversione”, un edificio in cui è presente una sede adibita ad attività di centro operativo può essere totalmente o parzialmente destinato a tale funzione. Infatti, sempre con riferimento all’intero edificio, potrebbero ivi essere svolte altre attività di qualsivoglia natura, sia a fini pubblici che privati. Inoltre, l’aliquota (totale o parziale) di edificio, in cui è prevista la sede del centro operativo, può essere:

\n

Si sottolinea che la scelta della sede, in entrambi i casi, può essere influenzata positivamente o meno a seconda della disponibilità di ulteriori spazi contigui alla sede primaria da poter utilizzare per la localizzazione di alcune delle attività emergenziali.

\n

3. AREE DI EMERGENZA E CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE
\nLe Aree di emergenza sono luoghi destinati ad attività di protezione civile e devono essere preventivamente individuate nella pianificazione di emergenza.
\nNell’ambito delle proprie competenze, le Amministrazioni locali individuano:

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Per quanto riguarda i requisiti specifici sugli indicatori utili a stabilire l’idoneità del sito di un’area di emergenza si può fare riferimento alla scheda sulla “Caratterizzazione dell’area per l’idoneità del sito” (allegato 4). In particolare, le Aree di emergenza devono essere localizzate in siti non soggetti a rischio evitando ad esempio aree alluvionali, aree in prossimità di versanti instabili, di crollo di strutture attigue, a rischio d’incendi boschivi e di interfaccia. Per quanto concerne l’ubicazione, tutte le aree devono essere situate in prossimità di un nodo viario di connessione autostradale (grande viabilità nazionale) o di grande scorrimento e dovranno essere facilmente raggiungibili anche da mezzi di grandi dimensioni. Le aree devono avere una dotazione minima di urbanizzazioni e dotazioni infrastrutturali come reti idriche, elettriche, smaltimento delle acque reflue, reti per telecomunicazioni e reti di illuminazione pubblica. Tali aree possono essere ricercate negli spazi destinati, ad esempio, a grandi centri commerciali, complessi fieristici, interporti, mercati generali, aree industriali, aree già individuate da pianificazioni specifiche di settore come ad esempio le aree di stoccaggio temporanee dei veicoli pesanti dei piani di emergenza neve, etc.. Il numero delle aree da scegliere è in funzione del numero degli abitanti e della capacità ricettiva dei siti disponibili sul territorio. Al fine di rendere immediatamente operativi tali aree in emergenza, è necessario formalizzare la scelte nelle pianificazioni di emergenza ai diversi livelli di competenza. E’ opportuno che in tali pianificazioni siano identificati i soggetti responsabili dell’attivazione, ovvero della manutenzione ordinaria, al fine di rendere immediatamente utilizzabili le aree di emergenza.

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3.1 Aree di attesa della popolazione
\nLe Aree di Attesa sono luoghi di prima accoglienza per la popolazione individuate dai Sindaci nei piani comunali di emergenza; si possono utilizzare piazze, slarghi, parcheggi, spazi pubblici o privati ritenuti idonei e non soggetti a rischio, raggiungibili attraverso un percorso sicuro possibilmente pedonale e segnalato con apposita cartellonistica stradale. In tali aree la popolazione viene censita e riceve le prime informazioni sull'evento ed i primi generi di conforto, in attesa dell'allestimento delle aree e centri di accoglienza. Il numero e il dimensionamento di tali aree varia in relazione alla dislocazione demografica e devono seguire criteri di copertura omogenea della popolazione residente in un Comune.

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3.2 Aree e centri di assistenza della popolazione
\nLe Aree di assistenza della popolazione sono luoghi, individuati dai Sindaci nei piani comunali di emergenza, dove la popolazione risiederà per brevi, medi e lunghi periodi. E’ preferibile che le aree abbiano nelle immediate adiacenze spazi liberi ed idonei per un eventuale ampliamento e per garantire la sosta e lo stoccaggio di materiali a supporto delle attività. La tipologia delle aree per l’accoglienza della popolazione sarà classificata, per uniformità di linguaggio, nel seguente modo:

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3.3 Aree di ammassamento soccorritori e risorse
\nLe aree di ammassamento soccorritori e risorse sono aree e/o magazzini dove potranno trovare sistemazione idonea i soccorritori e le risorse strumentali (ad esempio, tende, gruppi elettrogeni, macchine movimento terra, idrovore, etc.) attivate a supporto ed integrazione di quelle già presenti sul territorio interessato da un’emergenza ma non ritenute necessarie a garantire il soddisfacimento delle esigenze operative. Tali aree dovranno essere poste in prossimità di uno svincolo autostradale o comunque vicino ad una viabilità percorribile da mezzi di grandi dimensioni e, in ogni caso, dovranno essere facilmente raggiungibili.
\nA livello comunale deve essere individuata un’area necessaria ad ospitare le risorse che vengono destinate ad operare nel territorio comunale. Il dimensionamento di tali aree varia in relazione al numero degli abitanti.
\nA livello provinciale, i Comuni afferenti ai C.O.M., devono congiuntamente individuare, con il supporto delle Amministrazioni provinciale e regionale, almeno un’ulteriore area di ammassamento soccorritori, afferente al C.O.M., in grado di rispondere alle esigenze dell’ambito territoriale. Tale area deve essere recepita nel piano provinciale di emergenza. I Comuni sede di C.O.M. e quindi anche di C.O.C., potranno individuare una sola area di ammassamento soccorritori e risorse.
\nA livello regionale, la Regione, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile e gli Enti interessati, individua le aree di ammassamento soccorritori nazionali, in numero di almeno una per provincia, per l’attuazione del modello d’intervento nazionale.
\nTali aree dovranno avere dimensioni medie di circa 25.000 m2 - in grado di ospitare un minimo di circa 200 soccorritori - dovranno essere pavimentate e raggiungibili attraverso autostrade e/o strade statali principali, nonché essere fornite dei servizi essenziali. Inoltre dovranno essere individuate tenendo conto dei seguenti criteri:

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Inoltre, deve essere individuata un’ Area di stoccaggio e smistamento risorse, da utilizzare quali area strategica per il supporto logistico di livello nazionale per le risorse provenienti da fuori regione. Tale area, dovrà essere in grado di garantire lo stoccaggio dei materiali (es. tende, generi di prima necessità, etc.) in ambienti coperti, sorvegliati e attrezzati per la movimentazione dei carichi (container).

\n

3.4 Punti di accesso delle risorse
\nIn fase emergenziale, qualora le condizioni di percorribilità della rete stradale palesassero dei problemi o, nel caso in cui risultasse necessario eseguire delle verifiche puntuali su opere d’arte che rendessero impossibile garantire il transito in tempi brevi sulle principali arterie di accesso all’area colpita, i soccorritori, i materiali e dei mezzi, provenienti da aree esterne, potranno essere indirizzati verso i “Punti di accesso”.
\nQuesta area di emergenza ha la funzione di accogliere e censire i convogli dei soccorritori, provenienti da aree esterne, permettendone successivamente il transito verso i poli logistici e le aree di ammassamento soccorritori di livello provinciale, transitando in percorsi sicuri, sulla base delle indicazioni di percorribilità della rete stradale fornite dagli enti gestori.
\nI Punti di Accesso devono essere individuati in fase di pianificazione sul territorio regionale.
\nPunti di accesso stradali
\nLa movimentazione su gomma di risorse umane e strumentali è un elemento imprescindibile per garantire un adeguato soccorso alla popolazione colpita da un evento emergenziale. Per assicurare la movimentazione in sicurezza dei veicoli verso le aree di ammassamento soccorritori ed evitare l’instradamento degli stessi verso arterie interrotte, si ricorre all’utilizzo dei Punti di accesso stradali. L’individuazione delle aree da adibire a punti di accesso stradali segue i seguenti criteri:

\n

Alla luce delle caratteristiche di un punto di accesso stradale si segnalano quali aree privilegiate, per questo scopo, quelle già censite dai Piani Neve locali come aree di stoccaggio temporaneo dei veicoli pesanti in caso di blocco prolungato della circolazione o altre aree che garantiscono caratteristiche analoghe.
\nPunti di accesso marittimi
\nLa movimentazione via mare consente il trasporto di notevoli quantità di uomini, materiali e mezzi senza gravare sulle infrastrutture terrestri colpite e per questo rappresenta una modalità d’accesso strategica. Inoltre va evidenziato che la movimentazione via mare necessità inevitabilmente di tempistiche maggiori rispetto a quella terrestre. Si riportano le caratteristiche principali per l’utilizzo dei porti quali punti di accesso marittimi:

\n

Punti di accesso aerei
\nLa modalità aerea garantisce la possibilità di raggiungere con velivoli ad ala fissa gli aeroporti, per poi proseguire il viaggio verso le destinazioni finali, utilizzando la modalità di trasporto su gomma o gli aeromobili ad ala rotante che consentono, in tempi rapidi, lo spostamento di materiale in modo capillare sul territorio verso le Zone di atterraggio di emergenza successivamente descritte. Le caratteristiche di tale modalità favoriscono il soccorso tecnico urgente e l’evacuazione di persone ferite verso strutture sanitarie idonee. L’importanza strategica di tale modalità di trasporto inizia a decrescere quando, superata la primissima emergenza, diventa necessario lo spostamento di grandi quantità di materiale.
\nSi riportano le caratteristiche principali per l’utilizzo del punto di accesso aereo:

\n

3.5 Zone di atterraggio in emergenza
\nLe Zone di atterraggio in emergenza (Z.A.E.) consentono il raggiungimento, con mezzi ad ala rotante, di luoghi del territorio difficilmente accessibili e possono permettere anche le attività di soccorso tecnico-urgente e sanitario. Devono essere preferibili eventuali piazzole censite da ENAC e per le quali è prevista una manutenzione ordinaria. Nel caso di individuazione di specifiche aree è necessario considerare i seguenti elementi di carattere generale:

\n

ALLEGATI

\n

Allegato 1 – Funzioni di supporto
\nAllegato 2 - Scheda semplificata di rilievo delle sedi C.O.M.
\nAllegato 3 - Scheda semplificata di rilievo delle sedi DI.COMA.C. – C.C.S.
\nAllegato 4 – Scheda caratterizzazione dell’area per l’idoneità del sito

\n

Il Capo del Dipartimento
\nFranco Gabrielli

\n","value":"

Indicazioni operative inerenti “La determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di coordinamento e delle Aree di emergenza”

\r\n\r\n

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO

\r\n\r\n

VISTA la legge 24 febbraio 1992, n. 225, recante “Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile\" e successive modificazioni ed integrazioni;
\r\nVISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, concernente il “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali” ed, in particolare, gli articoli 107 e 108;
\r\n
\r\nVISTO il decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, recante “Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile”; ed, in particolare, l’articolo 5, comma 5, ove è disposto che, secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Capo del Dipartimento della protezione civile rivolge alle Amministrazioni statali e ad ogni altra istituzione o organizzazione pubblica o privata le indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di coordinamento operativo in materia di protezione civile;

\r\n\r\n

VISTO il decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100;

\r\n\r\n

VISTO il decreto-legge 14 agosto 2013, n.93, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 ottobre 2013, n. 119, ed in particolare l’articolo 10;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, recante “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, recante “Organizzazione e funzionamento di SISTEMA presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 2013, recante “Nuova costituzione e modalità di funzionamento del Comitato operativo della protezione civile”;

\r\n\r\n

VISTA la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2014, recante il “Programma nazionale di soccorso per il rischio sismico”;

\r\n\r\n

VISTO il decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile del 12 giugno 2013 repertorio n. 2553, che ha individuato un Gruppo di Lavoro per l’elaborazione di una proposta finalizzata alla definizione di criteri generali per l’individuazione dei Centri di coordinamento e delle Aree di emergenza;

\r\n\r\n

RAVVISATA l’esigenza di determinare specifici criteri di individuazione delle sedi dei centri del coordinamento nonché delle aree di emergenza previsti nei documenti di pianificazione di protezione civile, al fine di favorire la risposta, in emergenza, del Servizio nazionale di protezione civile sia sotto il profilo strutturale che logistico-funzionale;

\r\n\r\n

ADOTTA
\r\nle seguenti indicazioni operative inerenti la determinazione dei criteri generali per l’individuazione dei Centri operativi di Coordinamento e delle Aree di Emergenza.
\r\nPer le Provincie Autonome di Trento e Bolzano sono fatte salve le competenze riconosciute dallo Statuto speciale (DPR del 31 agosto 1972, n. 670 e s.m.i.) e dalle relative norme di attuazione. In tale contesto le Province autonome provvedono ad adeguare le presenti indicazioni operative alle norme dello Statuto di autonomia.

\r\n\r\n

1. CENTRI DI COORDINAMENTO
\r\nLa prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura dell’evento che la genera e l’estensione dei suoi effetti, deve essere garantita a partire dalla struttura di protezione civile locale – comunale, intercomunale e provinciale – fino a quella regionale e nazionale in considerazione della gravità dell’evento stesso e secondo le competenze individuate dalla normativa vigente.
\r\nIn ambito di pianificazione delle emergenze di protezione civile, l’insieme degli elementi funzionali alla gestione operativa e delle azioni da porre in essere per fronteggiare le diverse esigenze che si possono manifestare a seguito di eventi emergenziali, rappresenta il modello d’intervento. In particolare, al fine di garantire il necessario coordinamento operativo, il modello d’intervento definisce – nel rispetto delle vigenti normative statali e regionali nonché sulla base di accordi o intese specifiche - ruoli e responsabilità dei vari soggetti coinvolti, con il relativo flusso delle comunicazioni, individuando nel contempo i luoghi del coordinamento operativo. Al momento dell’emergenza, la definizione di modelli d’intervento dei livelli territoriali nelle relative pianificazioni può favorire la capacità della prima risposta locale di protezione civile necessaria al coordinamento delle attività di soccorso e di assistenza alle popolazioni interessate. In particolare, l’individuazione preventiva dei centri di coordinamento e delle aree di emergenza nonché la disponibilità e la loro fruibilità al momento dell’attivazione, favoriscono, in emergenza, una più efficiente operatività e una più veloce attivazione, ai vari livelli di coordinamento.
\r\nI centri di coordinamento si attivano sul territorio ai diversi livelli di responsabilità (comunale o intercomunale, provinciale, regionale e nazionale), in funzione dell’intensità e dell’estensione dell’evento emergenziale di protezione civile, al fine di garantire il coordinamento delle attività di soccorso, in relazione alla capacità di risposta del territorio interessato. Tali centri, nei quali sono rappresentate le componenti e le strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, di cui agli articoli 6 ed 11 della legge n. 225/1992 e s.m.i., si attivano anche secondo le indicazioni riportate nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, concernente gli indirizzi operativi per la gestione delle emergenze. L’azione dei vari soggetti esterni che intervengono a supporto delle strutture locali di protezione civile deve realizzarsi, mantenendo la propria organizzazione interna e la propria catena di coordinamento, in forma integrata e coordinata.
\r\nI centri di coordinamento strutturano la loro attività per Funzioni di supporto, intese come forma organizzativa di coordinamento per obiettivi, tale da porre in essere le risposte operative alle diverse esigenze che si manifestano nel corso di un’emergenza. Le Funzioni di supporto si raccordano tra di loro per il raggiungimento degli obiettivi operativi. Alle attività delle Funzioni di supporto concorrono tutti i soggetti ordinariamente competenti, adeguatamente coinvolti e preparati attraverso appositi programmi di formazione ed addestramento. Nella pianificazione di emergenza deve essere individuato il coordinatore del centro di coordinamento tra le Amministrazioni competenti e ciascuna Funzione deve essere affidata al coordinamento di un responsabile individuato tra il personale degli Enti e delle Amministrazioni competenti per materia e operanti sul territorio. In caso contrario, tali figure, dovranno essere messe a disposizione dalle Amministrativi territoriali sovraordinate, secondo il principio di sussidiarietà.
\r\nIn Allegato 1 viene riportato uno schema generale delle Funzioni di supporto attivabili in un centro di coordinamento, con i relativi macro-obiettivi che le stesse devono perseguire. Il numero, la consistenza e gli obiettivi delle Funzioni di supporto da attivare, ai diversi livelli di coordinamento territoriale, dipendono tuttavia sia dalle specifiche situazioni emergenziali, sia dalla sostenibilità dell’impegno da parte degli Enti e delle Amministrazioni responsabili per il relativo livello di pianificazione. Attesa la complessità e la specificità della gestione emergenziale, anche in relazione alla disponibilità delle risorse umane degli Enti e delle Amministrazioni che concorrono alla operatività del Centro di coordinamento, gli obiettivi di due o più Funzioni di supporto elencate in Allegato 1 possono essere accorpate e sostenute da un’unica Funzione.
\r\n
\r\n1.1 Centro di coordinamento comunale
\r\nA livello comunale, la pianificazione di emergenza deve essere redatta, ai sensi dell’articolo 108 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sulla base degli indirizzi regionali, contemplando le indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile con la Direttiva del 3 dicembre 2008. Inoltre la legge del 12 luglio 2012 n. 100 obbligava i Comuni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa Legge, ad approvare con deliberazione consiliare il piano di emergenza comunale, prevedendone altresì l’aggiornamento periodico e la trasmissione in copia alla regione, alla prefettura-ufficio territoriale di governo e alla provincia territorialmente competenti.
\r\nAl verificarsi dell’emergenza sul proprio Comune, il Sindaco - autorità di protezione civile - assume la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio comunale, nonché il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita e provvede ai primi interventi necessari a fronteggiare l’emergenza, dando attuazione a quanto previsto dalla pianificazione di emergenza. In particolare, il Sindaco svolge tali azioni nell’ambito del territorio comunale attraverso il personale del Comune e con l’impiego delle risorse umane e strumentali presenti a livello comunali, anche utilizzando il potere di ordinanza. Ove necessario, sulla base delle esigenze operative, il Sindaco può chiedere il concorso delle componenti e delle strutture operative presenti ed operanti sul territorio (strutture sanitarie, organizzazioni di volontariato, Enti gestori dei servizi essenziali, etc.) e, per il tramite della Prefettura – UTG, anche di eventuali risorse statuali (Vigili del Fuoco e Forze di Polizia).
\r\nIl Sindaco, nello svolgimento delle attività, si avvale del Centro operativo comunale (C.O.C.), attivato con le Funzioni di supporto necessarie alla gestione dell’emergenza, nelle quali sono rappresentate le diverse componenti e strutture operative che operano nel contesto locale.
\r\nL’individuazione della sede ove localizzare il C.O.C. è in carico al Sindaco (o suo delegato) e deve essere definita in fase di pianificazione.
\r\nLe Amministrazioni comunali sono tenute ad approvare, con delibera consiliare, i piani comunali di emergenza secondo i criteri e le modalità di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali.
\r\nTenuto conto che il territorio italiano è caratterizzato anche da piccole realtà municipali, è auspicabile che in fase di pianificazione di emergenza sia garantito da parte delle Amministrazioni provinciali e regionali un particolare ed adeguato supporto ai Sindaci di tali Comuni, affinché possano efficientemente organizzare le proprie strutture per la gestione delle emergenze.
\r\nAl fine di favorire il supporto delle azioni poste in essere a livello locale, è altresì auspicabile che i comuni di minore dimensione demografica possano esercitare in forma associata le funzioni di protezione civile, come previsto dall’articolo 33 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.i. e sulla base delle normative regionali vigenti. In particolare, ai sensi del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con legge 7 agosto 2012, n.135, i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, la funzione di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi.
\r\n
\r\n1.2. Centri di coordinamento provinciali
\r\nCentro di Coordinamento Soccorsi – C.C.S.
\r\nLa pianificazione provinciale di emergenza, fatto salvo quanto stabilito dalle disposizioni regionali in materia di protezione civile e anche sulla base di specifici accordi e protocolli tra le amministrazioni, è redatta, d’intesa e in forma sinergica, dalla Amministrazione Provinciale e - in particolare per quanto attiene agli aspetti connessi con le attivazioni in emergenza delle strutture statali del territorio di competenza - dal Prefetto; atteso anche il disposto dell’articolo 14, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e s.m.i., in raccordo con la Regione.
\r\nA livello provinciale, in fase emergenziale, il Prefetto assume, coordinandosi con il Presidente della giunta regionale, la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati.
\r\nPer coordinare gli interventi di protezione civile sul territorio della Provincia, viene costituito il Centro di Coordinamento Soccorsi (C.C.S.) nel quale sono rappresentati la Prefettura – UTG, le Amministrazioni regionale e provinciale, gli Enti, le Amministrazioni e le Strutture operative deputate alla gestione dell’emergenza. Qualora il modello adottato dalla Regione non indichi chiaramente a quale Autorità sia attribuita la funzione di responsabilità della struttura del C.C.S., e non fossero vigenti in tal senso opportuni protocolli d’intesa tra Prefetture e Province, tale funzione si intende assegnata ai rispettivi Prefetti, in qualità di rappresentanti dello Stato sul territorio. Il C.C.S. raccoglie, verifica e diffonde le informazioni relative all’evento ed alla risposta di protezione civile, attraverso il raccordo costante con i diversi Centri Operativi attivati sul territorio, con la Sala Operativa Regionale e con la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile.
\r\nCome noto, nei piani provinciali di emergenza è prassi consolidata che la sede individuata ad ospitare il C.C.S. coincida con l’edificio ospitante la Prefettura. Questi edifici, tuttavia, sono spesso strutture di non recente costruzione e collocati all’interno di centri storici caratterizzati da difficile viabilità interna, non garantendo la tempestiva funzionalità di tali sedi.
\r\nPertanto, nella pianificazione provinciale d’emergenza risulta in linea di massima opportuno individuare ufficialmente almeno una sede alternativa ove allocare il C.C.S., nella quale sia possibile attivare nell’immediatezza tutte le Funzioni di supporto e le attività di competenza. Al fine di rendere tempestivamente operativo il C.C.S., occorre altresì, attraverso un atto formale, individuare sia la sede ufficiale e quella alternativa, anche attraverso la stipula di opportuni protocolli d’intesa tra gli Enti e le Amministrazioni interessate. Tali atti, dovranno determinare fisicamente i luoghi in cui svolgere le attività in emergenza, identificando, altresì, i soggetti responsabili delle diverse Funzioni di supporto da attivare, in stretto raccordo con l’Amministrazione provinciale, al fine di recepire le rispettive pianificazioni ed ottenere un efficace sistema integrato di protezione civile.
\r\nIn fase di pianificazione, l’individuazione del C.C.S., con la relativa organizzazione, deve essere comunicata a tutte le Amministrazioni interessate presenti sul territorio nonché alla Regione e al Dipartimento della protezione civile. L’atto di formalizzazione deve essere anche trasmesso alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio provinciale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.
\r\nIl modello d’intervento provinciale prevede che il C.C.S. raccordi i propri interventi con i Comuni interessati dall’emergenza. Laddove emerga la necessità di istituire una struttura di coordinamento a supporto dei Comuni stessi, sia nei casi in cui i Comuni non riescano a far fronte alla gestione emergenziale sia quando il C.C.S. abbia la necessità di ottimizzare gli interventi sul territorio, il Prefetto, può prevedere anche l’attivazione di centri operativi intercomunali (C.O.M.).
\r\nCentro operativi intercomunali – C.O.M.
\r\nIn relazione all’estensione dell’area interessata, alla popolazione da assistere, a specifiche esigenze funzionali/operative, per supportare l’attività dei Centri Operativi Comunali e per raccordare gli interventi attuati a livello comunale con quelli provinciali, si attivano i Centri Intercomunali (Centri Operativi Misti - C.O.M.). Il C.O.M. è la struttura che rende operative le linee strategiche definite dal C.C.S., attraverso il coordinamento delle risorse da impiegare negli ambiti comunali di riferimento dei C.O.C..
\r\nL’attivazione dei C.O.M. è suggerita dalla necessità di organizzare gli interventi delle risorse provinciali o di altre provenienti dall’esterno in modo capillare sul territorio interessato da un evento calamitoso, ovvero di recepire in modo immediato le diverse esigenze provenienti dai Comuni afferenti al C.O.M. stesso.
\r\nLaddove nella pianificazione provinciale di emergenza siano già individuati Centri Operativi Intercomunali facenti capo a gestioni associate di protezione civile formalmente istituite, le funzioni dei C.O.M. sono svolte da tali centri.
\r\nIl C.O.M. viene attivato dal Prefetto, qualora leggi regionali o appositi accordi di programma non prevedano altrimenti. Nella pianificazione provinciale di emergenza dovrà essere individuato il Comune sede di C.O.M. ed il bacino di Comuni afferenti allo stesso. I C.O.M. sono ubicati in idonee strutture, preventivamente individuate dal Comune territorialmente competente, d’intesa con la prefettura – UTG e con il supporto tecnico delle Amministrazioni provinciale e regionale.
\r\nL’individuazione del C.C.S. e dei C.O.M. deve essere riportata all’interno del piano provinciale di emergenza quale strumento utile per coordinare le attività in emergenza. Tale documento deve essere pertanto redatto congiuntamente tra l’Amministrazione provinciale e la Prefettura – UTG, condiviso con la Regione e i Comuni e formalmente approvato.
\r\nCriteri per l’individuazione dei Comuni sede C.O.M., ambiti territoriali e formalizzazione
\r\nLa suddivisione del territorio provinciale in C.O.M. deve essere effettuata preventivamente sulla base di criteri che tengano conto degli aspetti morfologici e demografici, in modo da garantire omogeneità d’intervento sul territorio.
\r\nLa scelta del Comune sede di C.O.M. deve pertanto essere effettuata seguendo principalmente due criteri oggettivi, quali il bacino di utenza e il tempo di percorrenza tra i centri operativi comunali e il C.O.M..
\r\nIl “bacino di utenza” considera la capacità di assistenza che un C.O.M. può offrire al territorio di competenza. Affinché possa essere garantita una efficiente ed efficace gestione dell’emergenza, può essere assunto, quale valore di riferimento standard, un bacino di utenza di circa 30.000 – 35.000 abitanti residenti. Qualora il Comune sia di grandi dimensioni, ovvero abbia più di circa 35.000 abitanti, il valore del parametro di riferimento deve essere opportunamente modificato ovvero adattato alla suddivisione amministrativa già presente in via ordinaria (Quartieri, Municipi o Circoscrizioni).
\r\nIl “tempo di percorrenza” tiene in considerazione il sistema infrastrutturale, principalmente quello stradale, presente nel territorio di pertinenza del C.O.M. e, pertanto, misura la rapidità con cui si possono raggiungere i Comuni afferenti al C.O.M.. Si assume, come valore di riferimento standard, un tempo di percorrenza non superiore a 45 minuti, inteso come il tempo massimo necessario, in automobile, per raggiungere, partendo dalla sede del C.O.M., qualsiasi zona del territorio afferente allo stesso. Il valore di riferimento standard può essere variato in presenza di particolari condizioni orografiche e deve essere valutato utilizzando la rete viaria principale, scelta tra quelle che non presentano criticità che possono comprometterne il regolare funzionamento in caso di evento calamitoso.
\r\n
\r\nRisulta altresì opportuno considerare anche altri criteri accessori che possono essere utilizzati in casi particolari o come criteri preferenziali a parità di altre condizioni:
\r\n- in presenza di ex Comunità Montane, o nei casi in cui vi siano delle associazioni di comuni ordinariamente definite, può essere valutata la possibilità di utilizzare gli stessi limiti della Comunità, laddove ciò realizzi economie di gestione. Tale criterio, laddove deroghi quello del bacino di utenza, dovrebbe essere utilizzato solo salvaguardando l’efficienza del sistema di soccorso, aiuto e ricovero alla popolazione;
\r\n- in zone a bassissima pericolosità sismica (zona 4) e/o idrogeologica, il valore del parametro di riferimento del criterio del “bacino di utenza” può essere aumentato;
\r\n- in zone ad elevata pericolosità sismica (zona 1) e/o idrogeologica, il valore del parametro di riferimento del “bacino di utenza” può essere ridotto;
\r\n- a parità di altre condizioni, sono preferibili quali Comuni sede di C.O.M. quelli prossimi ad una linea ferroviaria, ad un aeroporto, ad un eliporto, ad un porto commerciale, ad un porto turistico ovvero in prossimità di punti di accesso terrestri.
\r\nAl fine di rendere tempestivamente operativi i C.O.M. in emergenza è anche necessario formalizzare la scelta attraverso un atto ufficiale tra le Amministrazioni e gli Enti interessati. Tali atti, che sono emanati dal Prefetto, a meno di specifici accordi e protocolli d’intesa tra le amministrazioni, dovranno determinare fisicamente i luoghi in cui svolgere le attività, identificando, altresì, i soggetti responsabili delle diverse Funzioni di supporto da attivare, in stretto raccordo con l’Amministrazione provinciale, al fine di recepire le rispettive pianificazioni ed ottenere un efficace sistema integrato di protezione civile. In fase di pianificazione, l’individuazione del COM, con la relativa organizzazione, deve essere comunicata a tutte le Amministrazioni interessate presenti sul territorio nonché alla Regione e al Dipartimento della protezione civile. L’atto di formalizzazione deve essere anche trasmesso alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio provinciale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.
\r\n
\r\n1.3 Centro di coordinamento regionale
\r\nA livello regionale, la Sala Operativa Regionale (S.O.R.) – che in ordinario svolge le attività di monitoraggio sul territorio di competenza – in fase emergenziale, mantiene il raccordo con i Centri Operativi attivati a livello provinciale, intercomunale e comunale ed assicura l’impiego di tutte le risorse regionali, sulla base delle effettive esigenze ed istanze pervenute dai centri operativi sotto - ordinati. La S.O.R. mantiene uno stretto raccordo con la Sala Situazione Italia, con le sale operative regionali e provinciali delle strutture operative preposte al soccorso e/o alla pubblica utilità, con le sale di controllo od operative degli Enti e delle Amministrazioni che gestiscono le reti e le infrastrutture dei servizi.
\r\nIn fase di pianificazione, le Regioni possono approvare il Piano Regionale di protezione civile, che può prevedere criteri e modalità d’intervento da seguire in caso di emergenza, redatto sulla base delle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile.
\r\n
\r\n1.4 Centro di coordinamento nazionale
\r\nA livello Nazionale, in fase emergenziale, qualora se ne riscontrasse la necessità, il Capo del Dipartimento della protezione civile, può convocare il Comitato Operativo della protezione civile (C.O.). Il Comitato Operativo della protezione civile assicura la direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di emergenza, si riunisce di norma presso la sede del Dipartimento della Protezione Civile, è presieduto dal Capo del Dipartimento ed è composto da rappresentanti di Componenti e Strutture operative del sistema nazionale di protezione civile. Il C.O. ha l'obiettivo di valutare le notizie, i dati e le richieste provenienti dalle zone interessate dall'emergenza, definire le strategie di intervento e coordinare in un quadro unitario gli interventi di tutte le Amministrazioni ed Enti interessati al soccorso. Nel caso in cui fosse necessario l’utilizzo di mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega, di un Ministro con portafoglio o del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri segretario del Consiglio, anche su richiesta del Presidente della Regione o delle Regioni territorialmente interessate e comunque acquisita l'intesa delle medesime Regioni, delibera lo stato di emergenza determinandone durata ed estensione territoriale.
\r\nQualora si riscontrasse altresì la necessità di istituire in loco una struttura di coordinamento nazionale per fronteggiare l’emergenza, si provvede all’allestimento della Direzione di Comando e Controllo (DI.COMA.C.) nella sede più idonea tra quelle individuate in fase di pianificazione. La DI.COMA.C. assicura l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse nazionali sul territorio interessato, vede la partecipazione delle componenti e delle strutture operative, degli Enti gestori dei servizi essenziali e del sistema delle Regioni, in raccordo con i centri di coordinamento ed operativi attivati a livello territoriale. Le attività della DI.COMA.C. sono inizialmente volte a garantire una continuità rispetto a quelle intraprese dal Comitato Operativo ovvero dalle funzioni di SISTEMA presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile.
\r\nLa DI.COMA.C. si articola per Funzioni di supporto, che ne costituiscono la struttura organizzativa e rappresentano i diversi settori di attività. Ciascuna Funzione è costituita da rappresentanti degli Enti e delle Amministrazioni pubbliche e private che concorrono alla gestione dell’emergenza, con professionalità e risorse, per la specifica attività, e che permettono lo scambio di dati e di informazioni rilevanti ai fini dell’esercizio delle rispettive funzioni istituzionali. Le Funzioni di supporto, per quanto di rispettiva competenza ed in forma coordinata, interagiscono tra loro per il soddisfacimento delle esigenze operative e si rapportano con le analoghe funzioni dei centri di coordinamento provinciali attivati sul territorio. All’interno della DI.COMA.C. operano rappresentanti delle Strutture Operative (VVF, CC, PS, CNSAS, CRI, GdF, CFS, COI, CP, Polizia penitenziaria, etc.) che garantiranno il raccordo con le proprie strutture di coordinamento attivate in loco per soddisfare le esigenze rappresentate dalle Funzioni di supporto. Saranno, altresì, presenti rappresentanti del Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome, degli Enti Locali (es. ANCI), nonché del MiBAC con il compito di raccordarsi con le Funzioni di supporto alle quali afferiscono le attività di propria competenza.
\r\nL’attivazione e gli obiettivi che devono essere perseguiti e la composizione della DI.COMA.C. vengono determinate con specifici atti del Capo del Dipartimento della protezione civile che ne individua il coordinatore ed i referenti delle Funzioni di supporto.
\r\nCome previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio del 3 dicembre 2008, la Regione, in fase di pianificazione, individua e propone al Dipartimento della protezione civile possibili sedi da adibire a DI.COMA.C., nel rispetto dei requisiti di cui al paragrafo 2.1.
\r\nTenuto conto del carattere delle attività e delle funzioni che vengono svolte dalla DI.COMA.C., in fase di pianificazione, la Regione interessata, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, in accordo con la proprietà della struttura individuata, dovrà provvedere alla formalizzazione della sede (anche più di una) della DI.COMA.C. attraverso un atto ufficiale, anche congiunto tra i soggetti coinvolti, che impegni formalmente a renderla disponibile al momento dell’emergenza.
\r\nTale formalizzazione deve essere successivamente comunicata ai Presidenti delle Province, ai Prefetti, a tutti i Sindaci della Regione, ai Comandi regionali delle strutture operative presenti sul territorio. La Regione trasmetterà l’atto di formalizzazione anche alle sedi centrali degli Enti gestori di servizi pubblici operanti sul territorio regionale, nonché ad ogni Ente, Organizzazione ed Associazione, anche di volontariato, che possa essere coinvolta nella gestione di un evento calamitoso.
\r\n
\r\n2. INDIVIDUAZIONE DEI CENTRI DI COORDINAMENTO
\r\nSono riportati di seguito, in via sintetica, i criteri di riferimento per l’individuazione degli edifici e dei relativi spazi idonei ad ospitare la sede di un centro di coordinamento. Tali criteri intendono fornire un quadro di riferimento generale, con l’obiettivo di indirizzare gli Enti competenti verso l’identificazione di strutture in possesso di alcuni imprescindibili requisiti di base, in grado di rispondere in maniera ottimale alla funzione che sono chiamati a svolgere in fase di emergenza.
\r\n
\r\n2.1 Criteri per l’individuazione delle sedi
\r\nUn utile strumento di indirizzo all’individuazione dei Centri di Coordinamento comunale e provinciale è rappresentato da una scheda dedicata, denominata “Scheda semplificata di rilievo delle sedi C.O.M.” (Allegato 2), già utilizzata per il rilievo degli elementi strutturali e funzionali delle sedi C.O.M. in alcune Regioni dell’Italia centro-meridionale nel triennio 2005-2007, e poi modificata e testata nel 2011-2012 per la ricognizione degli edifici sedi C.O.M. nell’ambito delle attività di pianificazione nazionale nelle Regioni Calabria e Basilicata. Per quanto riguarda invece l’individuazione delle sedi del C.C.S. e della DI.COMA.C., lo strumento d’indirizzo è rappresentato dalla “Scheda semplificata di rilievo delle sedi DI.COMA.C. – C.C.S.” (Allegato 3).
\r\nTali schede consentono, attraverso un iter guidato di valutazione, di analizzare tutti gli elementi della sede e del contesto, anche con l’obiettivo di escludere situazioni palesemente inadeguate. In ogni caso, va precisato che i sopralluoghi effettuati con l’ausilio delle schede hanno carattere speditivo e quindi, anche qualora non si evidenziassero condizioni di vulnerabilità manifeste, rientrando i centri di coordinamento. negli edifici a carattere strategico la cui funzionalità nell’ambito di un evento calamitoso assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, ogni tipo di valutazione conclusiva va sostenuta dai necessari atti documentali e da certificazioni, sia in ordine all’idoneità sotto il profilo sismico strutturale, di amplificazioni di sito e sia in ordine alle valutazioni sull’assetto derivante dai rischi indotti (ad esempio, idro-geologico, antropico etc.) del sito.
\r\nPer quanto riguarda le caratteristiche funzionali, sono riportate specifiche per ogni tipologia di centro di coordinamento.

\r\n\r\n

Idoneità di localizzazione
\r\nE’ opportuno considerare, al fine della scelta della sede idonea ad ospitare un centro di coordinamento, oltre che elementi strutturali propri dell’edificio, anche le caratteristiche geo-morfologiche al contorno, l’idoneità dal punto di vista idrogeologico, le condizioni di amplificazioni di sito, le condizioni di pericolosità derivanti da eventi franosi/instabilità di versanti, la liquefazione dei terreni e la pericolosità idraulica, nonché gli elementi derivanti da rischi antropici.
\r\nPertanto, ai fini di un preliminare giudizio di idoneità localizzativa dell’area di sedime dell’edificio, un riferimento generale può essere rappresentato dalla seguente scala di preferenza - che prescinde da potenziali situazioni di pericolosità locale (effetti sismici locali, instabilità di versanti, fenomeni di esondazione, etc.), che tuttavia devono essere tenuti in debita considerazione:
\r\n1) Insediamenti di pianura super-alluvionali;
\r\n2) Insediamenti collinari di crinale/montani extravallivi;
\r\n3) Insediamenti costieri marittimi;
\r\n4) Insediamenti collinari di sommità/costieri lacustri;
\r\n5) Insediamenti collinari di pendice/montani intravallivi/sub-alluvionali.
\r\nSotto il profilo dell’idoneità dal punto di vista idrogeologico, il documento di riferimento riguardo alle condizioni di pericolosità e di rischio del territorio è rappresentato dal Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.). Sono da escludere dal novero dei potenziali edifici quelli le cui aree di sedime risultino nel P.A.I. ricomprese nelle perimetrazioni da tipo R4 (rischio molto elevato) a R2 (rischio medio), a meno che non vengano realizzati preventivamente interventi di riduzione del rischio. Saranno al più ammissibili, con le dovute cautele, aree di tipo R1 (rischio moderato), ma solo dopo aver accertato l’impossibilità di individuare aree non a rischio. Qualora la scelta delle aree dovesse inevitabilmente indirizzarsi verso situazioni non ancora prese in esame nel P.A.I., dovrà essere effettuato uno studio di dettaglio, per la valutazione della pericolosità e del rischio, anche eventualmente con metodi speditivi laddove non siano disponibili i dati di base per l’effettuazione di un’analisi rigorosa.
\r\nPer quanto attiene le eventuali condizioni di pericolosità derivanti da eventi franosi/instabilità di versanti occorrerà valutare i seguenti parametri:

\r\n\r\n\r\n\r\n

In relazione a quanto esposto, alla luce della disamina della cartografia tematica eventualmente disponibile, si potranno immediatamente escludere aree:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Vanno, infine, valutati gli aspetti connessi ad eventuali condizioni di pericolosità antropica. A tal riguardo, in linea generale, nella valutazione dell’idoneità dell’area di insediamento dell’edificio vanno individuate soluzioni volte ad escludere:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Caratteristiche strutturali
\r\nLa scelta dell’edificio dei centri di coordinamento, prevede un’attenta valutazione delle caratteristiche strutturali, al fine di effettuare una stima della vulnerabilità sismica dello stesso.
\r\nLa sezione B della citata scheda di rilevamento, riguardante la vulnerabilità strutturale dell’edificio, delinea un iter di valutazione finalizzato ad analizzare le peculiarità del complesso strutturale dell’edificio stesso anche in relazione all’anno di classificazione sismica del Comune ed alla relativa normativa sismica vigente, sia attuale che riferita al momento della progettazione ed esecuzione.
\r\nPreliminarmente all’analisi dell’edificio, dovranno essere acquisite informazioni sul progetto dell’opera, in particolare per quanto riguarda l’età di progettazione e di realizzazione, il collaudo statico, il coefficiente d’importanza utilizzato (in zona sismica) e la presenza di giunti tecnici efficaci (ossia sufficientemente ampi e privi di occlusioni). Va, altresì, attentamente valutato anche lo stato di manutenzione generale, sia delle parti strutturali che delle finiture e degli impianti. Tutte le valutazioni trovano la loro sintesi nella sezione conclusiva F, nella quale si esprime un giudizio speditivo ed esperto sulla vulnerabilità propria dell’edificio stesso.
\r\nCome già anticipato, i sopralluoghi effettuati con l’ausilio della scheda hanno carattere speditivo e quindi, anche qualora non si evidenziassero sotto il profilo strutturale condizioni di vulnerabilità manifeste, in ogni caso occorre reperire i necessari atti documentali e le certificazioni relative all’esistenza di una verifica sismica della struttura.
\r\nInfatti, rientrando i centri di coordinamento negli edifici a carattere strategico, la cui funzionalità nell’ambito di un evento calamitoso assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sulla base di quanto disposto dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, articolo 2, comma 5, è fatto obbligo di procedere a verifica sismica, a meno che l’opera non sia stata progettata secondo le norme vigenti successivamente al 1984 (senza che sia intervenuta variazione di zona/categoria sismica). Si sottolinea, altresì, che, qualora successivamente alla data della verifica sismica disponibile, fossero state apportate delle modifiche nell’edificato (soprelevazione, ampliamento, variazioni di carichi e/o di destinazione d’uso, interventi sulle strutture), ai sensi del punto 8.4.1 del Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008 “Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni”, è fatto obbligo di riprocedere alla valutazione della sicurezza e, qualora necessario, all’adeguamento sismico della struttura, in ogni caso, con riferimento all’intera costruzione.
\r\nAl fine di un più generale criterio di ottimizzazione delle risorse, le Autorità competenti, dovranno orientarsi preferibilmente verso la scelta di edifici già in possesso dei suddetti requisiti e che garantiscano la celere reversibilità degli usi degli spazi in funzione della contingenza.
\r\n
\r\nPer quanto riguarda i C.O.M., qualora nell’ambito amministrativo del Comune individuato ad ospitare la sede del centro di coordinamento non siano presenti edifici che rispondano a tutte le citate caratteristiche, possono essere verificate le seguenti soluzioni:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Impianti e dotazioni
\r\nL’edificio deve essere dotato di tutti gli impianti di distribuzione di acqua, luce e riscaldamento, perfettamente funzionanti. Occorre, inoltre, che siano presenti le necessarie dotazioni informatiche e di telecomunicazioni o quantomeno le relative predisposizioni. In particolare, gli ambienti adibiti a sede del centro di coordinamento devono essere dotati almeno di rete telefonica ed informatica, nonché dei sistemi di telecomunicazioni. In particolare, per quanto riguarda i C.O.C., i C.O.M. e i C.C.S. devono essere assicurate le condizioni di base per l’installazione di un efficace sistema di comunicazioni radio, che, nella prima fase dell’emergenza, costituisce il principale sistema di comunicazione.
\r\nNell’ALLEGATO A delle schede di semplificazione di rilievo delle sedi (di cui agli Allegati 2 e 3), viene riportata una check list delle dotazioni minime e delle attrezzature che devono essere presenti, e fruibili in emergenza, a supporto delle attività del centro di coordinamento.
\r\nLa disponibilità, l’efficienza ed il funzionamento delle suddette attrezzature devono essere costantemente garantiti, a cura di un soggetto responsabile preventivamente individuato. In considerazione di ciò, tale ALLEGATO A deve essere sottoscritto per validazione dall’Ente responsabile dell’attivazione della struttura in emergenza.
\r\nCaratteristiche funzionali
\r\nLe sedi dei centri di coordinamento devono garantire la massima operatività in condizioni d’uso di massimo “stress” dal punto di vista della accessibilità e della praticabilità, nonché dell’utilizzo degli spazi e delle attrezzature presenti. L’organizzazione degli spazi è dunque un aspetto cruciale ed allo stesso tempo il punto di massima criticità potenziale dell’edificio.
\r\nIn particolare, si riporta di seguito una elencazione delle caratteristiche per ogni tipologia di centro di coordinamento.

\r\n\r\n

Centri Operativi Comunali
\r\nIl dimensionamento degli spazi deve essere commisurato alle risorse disponibili all’interno dell’Amministrazione comunale che dovrà comunque garantire la funzionalità di:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Tale scelta dovrà tener conto delle attività proprie svolte ordinariamente dal Comune in modo da garantire la continuità amministrativa degli Uffici comunali e lo svolgimento delle attività ordinarie (anagrafe, catasto, etc.) anche durante la gestione operativa dell’emergenza.

\r\n\r\n

Centri Operativi Misti
\r\nAll’interno della sede è necessario che vengano garantite le seguenti dotazioni:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte, si stima che agli spazi adibiti a C.O.M. dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 300 m2.
\r\nE’ auspicabile che la sede individuata abbia la disponibilità, anche nelle immediate vicinanze, di idonei spazi esterni da utilizzare come parcheggio, di dimensioni adeguate ad ospitare i veicoli degli operatori. Sarebbe altresì opportuno individuare anche spazi necessari ad ospitare materiali e strumentazioni funzionali alla sede stessa (gruppi elettrogeni, apparati per i sistemi satellitari, etc.).

\r\n\r\n

Centri di Coordinamento Soccorsi
\r\nAll’interno della sede è necessario che vengano garantite le seguenti dotazioni:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze operative si stima che agli spazi adibiti a C.C.S. dovrebbe essere destinata una superficie minima di circa 120 - 150 m2. E’ auspicabile che la sede individuata abbia la disponibilità, anche nelle immediate vicinanze, di idonei spazi esterni da utilizzare come parcheggio, di dimensioni adeguate ad ospitare i veicoli degli operatori.
\r\nPer quanto riguarda invece la sala operativa provinciale, se prevista, devono essere garantite le seguenti dotazioni:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte, si stima che agli spazi adibiti a sala operativa provinciale dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 300 m2.

\r\n\r\n

Direzione di Comando e Controllo
\r\nDal punto di vista distributivo, la sede deve essere in grado di ospitare almeno:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Al fine di poter efficacemente rispondere alle esigenze sopra descritte si stima che agli spazi adibiti a DI.COMA.C. dovrebbe essere destinata una superficie indicativa di circa 800 – 1.000 m2, con un’area esterna di circa 3.000 m2 da dedicare a parcheggio e ad eventuale stoccaggio di risorse per il supporto logistico. In fase di pianificazione è opportuno che, su scala regionale, vengano individuate un numero di sedi idonee da garantire una dislocazione omogenea sul territorio da consentire, sulla base dell’evento emergenziale, di poter attivare la DI.COMA.C. più funzionale alle attività di coordinamento.
\r\n
\r\nAccessibilità
\r\nLa scelta del centro di coordinamento deve essere vincolata alla idoneità dei collegamenti stradali a scala comunale. La sezione E della scheda semplificata consente di evidenziare eventuali condizioni di criticità presenti lungo i percorsi di accessibilità principale da e verso la sede individuata.
\r\nIn particolare, deve essere analizzata la presenza e/o le eventuali condizioni di vulnerabilità di:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Tra gli elementi di criticità connessi alla viabilità prossima alla sede, in proiezione della scelta localizzativa, occorre distinguere i fattori assolutamente pregiudiziali (vulnerabilità del contesto urbanistico) da quelli “sanabili” (traffico, ostacoli temporanei, etc.). In particolare, devono essere escluse localizzazioni all’interno di centri storici caratterizzati da tortuosa viabilità interna e/o presenza di edilizia vetusta, con fabbricati o altri elementi strutturali sismo-vulnerabili o a rischio idrogeologico. Inoltre elemento di criticità può essere rappresentato dalle reti di distribuzione lungo i percorsi di accesso per l’eventuale danneggiamento a seguito di un evento calamitoso, sia per pericolosità intrinseca (ad esempio, reti del gas) che per la necessità di impiantare cantieri lungo l’asse stradale per il ripristino delle stesse reti.
\r\nQuanto sopra esposto vale anche per tutte le opere d’arte stradali vulnerabili che possano ostacolare o addirittura impedire la circolazione, sia in modo diretto che indotto. A titolo di esempio si può considerare un muro fatiscente adiacente alla strada che potrebbe crollare o richiedere una ingombrante opera provvisionale per la messa in sicurezza; un vecchio ponte in muratura con evidenze di dissesto sia della struttura che del piede di appoggio, che potrebbe non garantire il passaggio di particolari mezzi di soccorso; una strettoia o un sottopasso che impongono una limitazione del traffico a determinati veicoli; un passaggio a livello.
\r\nAl fine di favorire il raggiungimento dei centri di coordinamento anche da parte dei soccorritori provenienti da altri territori, è auspicabile che tali centri, individuati in sede di pianificazione, siano facilmente identificabili anche attraverso l’utilizzo di apposita cartellonistica da apporre all’ingresso ed eventualmente lungo le principali vie di accesso urbane.
\r\n
\r\n2.2 Destinazioni d’uso in ordinario ed in emergenza
\r\nLa disponibilità di un edificio sicuro e funzionalmente pronto per l’attivazione di una struttura di coordinamento in emergenza, è requisito indispensabile per consentire la celere attivazione ed organizzazione dei soccorsi. Di seguito si riportano a titolo esemplificativo, i possibili edifici da prendere in considerazione per l’individuazione di un centro di coordinamento di protezione civile:

\r\n\r\n\r\n\r\n

La caratteristica fondamentale di tali edifici deve essere la riconvertibilità d’uso in caso d’emergenza, ossia la celere reversibilità (anche mediante strumenti temporanei quali, ad esempio, cablaggi, pannelli rimovibili di suddivisione degli ambienti) per massimizzare la capacità di gestione dello spazio in funzione della contingenza d’uso. La scelta di plessi scolastici per l’allestimento di Centri di coordinamento, deve essere limitata ai casi di assoluta indisponibilità di soluzioni alternative, tenuto conto che la ripresa delle attività scolastiche, è di primaria importanza e segue anche una tempistica più rapida per il rientro verso le normali condizioni di vita.
\r\nCon riferimento alla Scheda semplificata di rilievo delle sedi, ALLEGATO A, Sezione ALL. A2 “Individuazione uso promiscuo e tempi di riconversione”, un edificio in cui è presente una sede adibita ad attività di centro operativo può essere totalmente o parzialmente destinato a tale funzione. Infatti, sempre con riferimento all’intero edificio, potrebbero ivi essere svolte altre attività di qualsivoglia natura, sia a fini pubblici che privati. Inoltre, l’aliquota (totale o parziale) di edificio, in cui è prevista la sede del centro operativo, può essere:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Si sottolinea che la scelta della sede, in entrambi i casi, può essere influenzata positivamente o meno a seconda della disponibilità di ulteriori spazi contigui alla sede primaria da poter utilizzare per la localizzazione di alcune delle attività emergenziali.
\r\n
\r\n3. AREE DI EMERGENZA E CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE
\r\nLe Aree di emergenza sono luoghi destinati ad attività di protezione civile e devono essere preventivamente individuate nella pianificazione di emergenza.
\r\nNell’ambito delle proprie competenze, le Amministrazioni locali individuano:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Per quanto riguarda i requisiti specifici sugli indicatori utili a stabilire l’idoneità del sito di un’area di emergenza si può fare riferimento alla scheda sulla “Caratterizzazione dell’area per l’idoneità del sito” (allegato 4). In particolare, le Aree di emergenza devono essere localizzate in siti non soggetti a rischio evitando ad esempio aree alluvionali, aree in prossimità di versanti instabili, di crollo di strutture attigue, a rischio d’incendi boschivi e di interfaccia. Per quanto concerne l’ubicazione, tutte le aree devono essere situate in prossimità di un nodo viario di connessione autostradale (grande viabilità nazionale) o di grande scorrimento e dovranno essere facilmente raggiungibili anche da mezzi di grandi dimensioni. Le aree devono avere una dotazione minima di urbanizzazioni e dotazioni infrastrutturali come reti idriche, elettriche, smaltimento delle acque reflue, reti per telecomunicazioni e reti di illuminazione pubblica. Tali aree possono essere ricercate negli spazi destinati, ad esempio, a grandi centri commerciali, complessi fieristici, interporti, mercati generali, aree industriali, aree già individuate da pianificazioni specifiche di settore come ad esempio le aree di stoccaggio temporanee dei veicoli pesanti dei piani di emergenza neve, etc.. Il numero delle aree da scegliere è in funzione del numero degli abitanti e della capacità ricettiva dei siti disponibili sul territorio. Al fine di rendere immediatamente operativi tali aree in emergenza, è necessario formalizzare la scelte nelle pianificazioni di emergenza ai diversi livelli di competenza. E’ opportuno che in tali pianificazioni siano identificati i soggetti responsabili dell’attivazione, ovvero della manutenzione ordinaria, al fine di rendere immediatamente utilizzabili le aree di emergenza.
\r\n
\r\n3.1 Aree di attesa della popolazione
\r\nLe Aree di Attesa sono luoghi di prima accoglienza per la popolazione individuate dai Sindaci nei piani comunali di emergenza; si possono utilizzare piazze, slarghi, parcheggi, spazi pubblici o privati ritenuti idonei e non soggetti a rischio, raggiungibili attraverso un percorso sicuro possibilmente pedonale e segnalato con apposita cartellonistica stradale. In tali aree la popolazione viene censita e riceve le prime informazioni sull'evento ed i primi generi di conforto, in attesa dell'allestimento delle aree e centri di accoglienza. Il numero e il dimensionamento di tali aree varia in relazione alla dislocazione demografica e devono seguire criteri di copertura omogenea della popolazione residente in un Comune.
\r\n
\r\n3.2 Aree e centri di assistenza della popolazione
\r\nLe Aree di assistenza della popolazione sono luoghi, individuati dai Sindaci nei piani comunali di emergenza, dove la popolazione risiederà per brevi, medi e lunghi periodi. E’ preferibile che le aree abbiano nelle immediate adiacenze spazi liberi ed idonei per un eventuale ampliamento e per garantire la sosta e lo stoccaggio di materiali a supporto delle attività. La tipologia delle aree per l’accoglienza della popolazione sarà classificata, per uniformità di linguaggio, nel seguente modo:

\r\n\r\n\r\n\r\n

3.3 Aree di ammassamento soccorritori e risorse
\r\nLe aree di ammassamento soccorritori e risorse sono aree e/o magazzini dove potranno trovare sistemazione idonea i soccorritori e le risorse strumentali (ad esempio, tende, gruppi elettrogeni, macchine movimento terra, idrovore, etc.) attivate a supporto ed integrazione di quelle già presenti sul territorio interessato da un’emergenza ma non ritenute necessarie a garantire il soddisfacimento delle esigenze operative. Tali aree dovranno essere poste in prossimità di uno svincolo autostradale o comunque vicino ad una viabilità percorribile da mezzi di grandi dimensioni e, in ogni caso, dovranno essere facilmente raggiungibili.
\r\nA livello comunale deve essere individuata un’area necessaria ad ospitare le risorse che vengono destinate ad operare nel territorio comunale. Il dimensionamento di tali aree varia in relazione al numero degli abitanti.
\r\nA livello provinciale, i Comuni afferenti ai C.O.M., devono congiuntamente individuare, con il supporto delle Amministrazioni provinciale e regionale, almeno un’ulteriore area di ammassamento soccorritori, afferente al C.O.M., in grado di rispondere alle esigenze dell’ambito territoriale. Tale area deve essere recepita nel piano provinciale di emergenza. I Comuni sede di C.O.M. e quindi anche di C.O.C., potranno individuare una sola area di ammassamento soccorritori e risorse.
\r\nA livello regionale, la Regione, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile e gli Enti interessati, individua le aree di ammassamento soccorritori nazionali, in numero di almeno una per provincia, per l’attuazione del modello d’intervento nazionale.
\r\nTali aree dovranno avere dimensioni medie di circa 25.000 m2 - in grado di ospitare un minimo di circa 200 soccorritori - dovranno essere pavimentate e raggiungibili attraverso autostrade e/o strade statali principali, nonché essere fornite dei servizi essenziali. Inoltre dovranno essere individuate tenendo conto dei seguenti criteri:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Inoltre, deve essere individuata un’ Area di stoccaggio e smistamento risorse, da utilizzare quali area strategica per il supporto logistico di livello nazionale per le risorse provenienti da fuori regione. Tale area, dovrà essere in grado di garantire lo stoccaggio dei materiali (es. tende, generi di prima necessità, etc.) in ambienti coperti, sorvegliati e attrezzati per la movimentazione dei carichi (container).

\r\n\r\n

3.4 Punti di accesso delle risorse
\r\nIn fase emergenziale, qualora le condizioni di percorribilità della rete stradale palesassero dei problemi o, nel caso in cui risultasse necessario eseguire delle verifiche puntuali su opere d’arte che rendessero impossibile garantire il transito in tempi brevi sulle principali arterie di accesso all’area colpita, i soccorritori, i materiali e dei mezzi, provenienti da aree esterne, potranno essere indirizzati verso i “Punti di accesso”.
\r\nQuesta area di emergenza ha la funzione di accogliere e censire i convogli dei soccorritori, provenienti da aree esterne, permettendone successivamente il transito verso i poli logistici e le aree di ammassamento soccorritori di livello provinciale, transitando in percorsi sicuri, sulla base delle indicazioni di percorribilità della rete stradale fornite dagli enti gestori.
\r\nI Punti di Accesso devono essere individuati in fase di pianificazione sul territorio regionale.
\r\nPunti di accesso stradali
\r\nLa movimentazione su gomma di risorse umane e strumentali è un elemento imprescindibile per garantire un adeguato soccorso alla popolazione colpita da un evento emergenziale. Per assicurare la movimentazione in sicurezza dei veicoli verso le aree di ammassamento soccorritori ed evitare l’instradamento degli stessi verso arterie interrotte, si ricorre all’utilizzo dei Punti di accesso stradali. L’individuazione delle aree da adibire a punti di accesso stradali segue i seguenti criteri:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Alla luce delle caratteristiche di un punto di accesso stradale si segnalano quali aree privilegiate, per questo scopo, quelle già censite dai Piani Neve locali come aree di stoccaggio temporaneo dei veicoli pesanti in caso di blocco prolungato della circolazione o altre aree che garantiscono caratteristiche analoghe.
\r\nPunti di accesso marittimi
\r\nLa movimentazione via mare consente il trasporto di notevoli quantità di uomini, materiali e mezzi senza gravare sulle infrastrutture terrestri colpite e per questo rappresenta una modalità d’accesso strategica. Inoltre va evidenziato che la movimentazione via mare necessità inevitabilmente di tempistiche maggiori rispetto a quella terrestre. Si riportano le caratteristiche principali per l’utilizzo dei porti quali punti di accesso marittimi:

\r\n\r\n\r\n\r\n

Punti di accesso aerei
\r\nLa modalità aerea garantisce la possibilità di raggiungere con velivoli ad ala fissa gli aeroporti, per poi proseguire il viaggio verso le destinazioni finali, utilizzando la modalità di trasporto su gomma o gli aeromobili ad ala rotante che consentono, in tempi rapidi, lo spostamento di materiale in modo capillare sul territorio verso le Zone di atterraggio di emergenza successivamente descritte. Le caratteristiche di tale modalità favoriscono il soccorso tecnico urgente e l’evacuazione di persone ferite verso strutture sanitarie idonee. L’importanza strategica di tale modalità di trasporto inizia a decrescere quando, superata la primissima emergenza, diventa necessario lo spostamento di grandi quantità di materiale.
\r\nSi riportano le caratteristiche principali per l’utilizzo del punto di accesso aereo:

\r\n\r\n\r\n\r\n

3.5 Zone di atterraggio in emergenza
\r\nLe Zone di atterraggio in emergenza (Z.A.E.) consentono il raggiungimento, con mezzi ad ala rotante, di luoghi del territorio difficilmente accessibili e possono permettere anche le attività di soccorso tecnico-urgente e sanitario. Devono essere preferibili eventuali piazzole censite da ENAC e per le quali è prevista una manutenzione ordinaria. Nel caso di individuazione di specifiche aree è necessario considerare i seguenti elementi di carattere generale:

\r\n\r\n\r\n\r\n

ALLEGATI

\r\n\r\n

Allegato 1 – Funzioni di supporto
\r\nAllegato 2 - Scheda semplificata di rilievo delle sedi C.O.M.
\r\nAllegato 3 - Scheda semplificata di rilievo delle sedi DI.COMA.C. – C.C.S.
\r\nAllegato 4 – Scheda caratterizzazione dell’area per l’idoneità del sito

\r\n\r\n

Il Capo del Dipartimento
\r\nFranco Gabrielli

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Le indicazioni sono adottate ai sensi dell'articolo 5, comma 5, della legge n. 401/2001

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